Editoriale – Europa e Sudamerica, le nostre comunità di fronte alla crisi economica

Purtroppo, non risparmia nessuno. La crisi economia è globale. Non c’è paese che, in maggiore o minore misura, non debba fare i conti con i suoi effetti deleteri. Colpisce sia chi vive nei paesi sviluppati sia chi vive in quelli “emergenti”.

Provocata prima dagli effetti della pandemia, quando pareva che chiuso il capitolo della “bolla immobiliare” si tornasse alla normalità; e poi, superate le difficoltà  causate dalla Covid, determinata dal conflitto in Ucraina che ha portato la guerra alle porte dell’Europa; la crisi economica è oggi un fenomeno che si manifesta, in particolare, attraverso l’inflazione, la disoccupazione, i prezzi dei carburanti, degli affitti e chi più ne ha più ne metta.

Le nostre comunità all’estero, come è ovvio, risentono della congiuntura che vivono le nazioni in cui risiedono.

In Sudamerica, le nostre tre maggiori collettività -quelle dell’Argentina, del Brasile e del Venezuela – soffrono le conseguenze dell’instabilità politica e della crisi economica.

In Venezuela, in particolare, la presenza di un governo illegittimo agli occhi del mondo che si è mostrato incapace di andare oltre pochi provvedimenti populisti, non riescono a frenare né l’iperinflazione né la svalutazione della moneta. Oggi la nostra collettività, in passato asse portante del ceto medio e parte di una borghesia di piccoli e medi industriali, è sempre più povera.

Nel Paese i prezzi aumentano in maniera esponenziale mentre i salari e le pensioni restano invariati. Stando a quanto reso noto da “Trading Economics”, portale che fornisce serie storiche, dati statistici e previsioni sull’economia di ogni nazione, l’inflazione annuale in Venezuela si stima attorno al 404 per cento. È questa una proiezione che coincide all’incirca con quella che offre l’“Observatorio Venezolano de Finanzas”: 458 per cento. Il salario minimo mensile e la pensione, invariati dal 15 agosto del 2021, sono di 130 bolívares, meno di 4 dollari.

Il salario base rappresenta una somma irrisoria, se si compara con il costo del carrello della spesa che il “Centro de Documentación y Análisis de los Trabajadores de la Federación Venezolana de Maestros” calcola intorno ai 510 dollari, pari a quasi 13mila bolívares.

Non c’è da meravigliarsi, quindi, se sono sempre di più i connazionali che si recano presso i nostri Consolati in cerca di un aiuto. Tanti, purtroppo troppi, non hanno il denaro neanche per un pasto decente al giorno. Tantomeno per pagare medicine, visite mediche o il ricovero presso una clinica privata. I nostri Consolati fanno miracoli per poter assistere il maggior numero di loro ma avrebbero bisogno di risorse economiche che non hanno.

Il sogno di un Ospedale Italiano, capace di prendersi cura dei connazionali meno abbienti, è rimasto tale. Ne sorvoliamo le ragioni, che tutti d’altronde conoscono, per carità di patria.

Da quest’altra sponda dell’Oceano, la crisi economica colpisce soprattutto i connazionali che si recano all’estero in cerca di nuove opportunità.

Per esempio, in Spagna, se le statistiche dell’Ine non  mentono, la nostra comunità, specialmente negli ultimi mesi, è cresciuta e continua a crescere acceleratamente. I giovani scelgono la Spagna sia per la lingua, meno ostica di altre, sia per le tante opportunità che offre il mondo del lavoro. La loro principale difficoltà non è il costo degli alimenti, ma quello degli affitti.

Stando a quanto scrive Josep Catá Figúls, sull’autorevole quotidiano “El País” (“La Odisea de alquilar una habitación: ‘Es como buscar un trabajo’”, 3 settembre 2023), una stanza con bagno comune può costare fino a 875 euro al mese, nella centrica “Puerta del Sol”. Nel quartiere di Chamartín affittare una stanza è più economico, ma non tanto: tra i 500 e i 600 euro al mese.

Barcellona, stando a quanto scrive Josep Catá Figúlis, è la città più cara (una media di 631 euro). Seguono a ruota Madrid (477 euro), Palma (473 euro) e Vitoria-Gasteiz (448 euro).

Chi più, chi meno. La crisi economica non risparmia nessuno. In America Latina pone le nostre comunità di fronte a gravi problemi di sopravvivenza. È il caso, come abbiamo detto, del Venezuela o dell’Argentina, paesi in cui i connazionali hanno realmente bisogno di sentire la vicinanza della Madrepatria. In Europa, invece, la vecchia emigrazione e la nuova mobilità devono fare i conti con altre difficoltà, non meno rilevanti. Ma almeno possono contare su importanti ammortizzatori sociali di cui fa difetto l’insieme dei paesi latinoamericani. In particolare, su una sanità pubblica di qualità, assente in Sudamerica.

L’emigrazione italiana, oggi, vive due fenomeni assai diversi. Oltreoceano, i connazionali invecchiano in una realtà economica assai difficile osservando con dolore e impotenza come i figli  ripercorrono a ritroso i loro passi, per sottrarsi alla repressione di governi illiberali o alla crisi economica. In Europa, come nell’immediato dopoguerra, tanti giovani lasciano la Madrepatria alla ricerca di nuove e migliori opportunità di lavoro ma devono affrontare altri problemi legati alle difficoltà dei nuovi paesi in cui si inseriscono.

Oggi più che mai l’Italia non può restare indifferente ad un fenomeno, quello migratorio, che è parte intrinseca della sua storia.

Mauro Bafile

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