Sergio Scopetta (Addetto Scientifico): “Tra gli obiettivi, censire la comunità scientifica italiana in Spagna”

L'Addetto Scientifico, Sergio Scopetta

MADRID – Quanti sono i docenti italiani nelle università spagnole? Quanti i ricercatori negli enti pubblici e privati? E ancora, quanti italiani sono occupati in ogni ambito della ricerca, dall’antropologica alla letteraria fino alla robotica e alla nanotecnologia? Non si ha una radiografia completa e non esiste neanche un censimento. Per costruire politiche orientate a questo settore della nostra comunità è necessario avere una descrizione quanto più completa possibile e quanto più vicina alla realtà. Anche di questo, ha confessato nel corso di una lunga conversazione con la “Voce”, ha intenzione di occuparsi Sergio Scopetta, Addetto Scientifico dell’Ambasciata d’Italia in Spagna.

– Per avere un quadro preciso – ha spiegato – sarà necessario conoscere anche le ragioni che hanno mosso questi connazionali a venire in Spagna. Dietro la loro decisione, come a volte può accadere, ci sono motivi sentimentali? Come ha detto in un’occasione il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sono venuti perché hanno voluto o perché, in qualche modo, sono stati obbligati? Se alla fine del mio mandato sarò riuscito a censire questi italiani, a fare una radiografia della loro presenza nel Paese, allora potrò ritenermi soddisfatto.

L’Addetto Scientifico in visita al centro di ricerca IMDEA

Considera che mettere in evidenza chi è in Spagna, e soprattutto le ragioni che li hanno spinti a intraprendere un cammino senz’altro difficile, “potrebbe evitare che altri, in futuro, siano obbligati a percorrere la stessa strada”

Da anni nessuno occupava l’ufficio dell’Addetto Scientifico nell’Ambasciata di Madrid. Il silenzio era assordante; un silenzio, visto il moltiplicarsi in Spagna di istituti scientifici pubblici e privati di prestigio internazionale, non solo assordante ma anche difficile da spiegare.

– Qual è il ruolo di un Addetto Scientifico nell’ambito dell’azione diplomatica? Quando si pensa ad un addetto scientifico si immaginano tante cose…

– Ed infatti – ha ammesso con un sorriso -, si possono immaginare tante cose. Ed io me le sto immaginando. Noi – ha spiegato – abbiamo un mandato dal Ministero. Questo mandato ministeriale s’incrocia con le esigenze di ogni Ambasciata. Qualunque idea va concordata col Capo missione e con i colleghi. Comunque, il nostro incarico non si dissocia dal ruolo che svolge un’Ambasciata: promuovere l’Italia. Lo facciamo nell’ambito scientifico e tecnologico.

Ha commentato che è sua premura promuovere le eccellenze, favorire i contatti e approfondire la cooperazione tra i due Paesi senza dimenticare le comunità di studenti, borsisti, docenti e ricercatori italiani impegnati nell’ambito scientifico.

– Sono tanti – ha riconosciuto -. Si stima che siano tremila circa, tra docenti e ricercatori. Personalmente credo che siano di più. Poi, c’è una pletora di borsisti e tanti, tantissimi studenti. Quest’ultimo è un settore che può avere difficoltà e necessità, forse più di carattere consolare che diplomatico. Per esempio, per il riconoscimento di un titolo universitario. Comunque, non va trascurato.

– La presenza di docenti, ricercatori, borsisti, studenti nei tanti enti pubblici e privati, in qualche modo, è di aiuto alla sua missione.

– Verissimo. La Spagna, negli ultimi decenni, si è dotata di laboratori, enti. È stata una scelta politica; una crescita voluta dalle autonomie locali e non solo dallo Stato centrale. Ci sono regioni, come quella di Madrid, in cui negli ultimi 15 anni, sono stati creati centri di ricerca con finanziamenti pubblici. Lo stesso è accaduto nella Catalogna, nella “Comunidad Valenciana”, nel “Paese Basco”… La nostra presenza, l’avere reintrodotto la figura dell’Addetto Scientifico in questo paese, non è casuale. Ha una ragione. E scaturisce da questa realtà.

La crescita della Spagna nel settore scientifico la rende un partner interessante per l’Italia e, come ha tenuto a sottolineare Sergio Scopetta, “essenziale per molti progetti internazionali ed europei”.

– A mio avviso – ha aggiunto -, la cooperazione scientifica tra paesi del Sud Europa è necessaria per contrastare l’egemonia culturale-scientifica che ora appartiene al Nord-Europa. Questo è lo spirito dell’azione che insieme devono intraprendere  Spagna e Italia. Sta anche a me trovare i canali adeguati ed avere la sufficiente fantasia affinché la cooperazione sia sempre più forte.

La Spagna odierna

La prima volta fu a fine degli anni ’90. Poi, nel duemila, 2004, 2008, 2014, 2015. Questa, per il nostro intervistato, non è la prima esperienza in terra iberica. La storia contemporanea della Spagna è passata davanti ai suoi occhi. Ha visto come il Paese ha transitato da una società umiliata, profondamente tormentata dal ricordo della violenza franchista a quella odierna, ancora con tanti problemi ma all’avanguardia in tanti campi compreso quello della ricerca .

– Com’è cambiato il Paese?

– La prima volta, andai a Valencia, una città molto bella e affascinante. Ho visitato anche altre regioni del Paese, a volte per motivi professionali ed altre come turista. Era un Paese bellissimo ma con enormi carenze infrastrutturali: non c’era l’autostrada Valencia-Madrid, non c’era l’Alta Velocità, e gli aeroporti erano abbastanza approssimativi. Parlo degli anni fine ’90. A mio avviso, quello fu il periodo del “boom economico” spagnolo, come gli anni ’60 lo furono per l’Italia. Ho visto i miei colleghi, stare sempre meglio. Credo che una persona non sia felice quando ha tutto, ma piuttosto quando pensa che domani potrà avere di più. Quel che conta, a mio avviso, è quello che in matematica chiamiamo “derivata”. In questo caso, la crescita. L’illusione di avere ogni giorno qualcosa di più… ecco, è ciò che ho condiviso con i miei colleghi, i miei amici spagnoli. Dal punto di vista umano è stato molto bello.

Ha raccontato anche come ha visto crescere le difficoltà e “la forza con la quale il Paese ha reagito”.

– Credo che la Spagna, indipendentemente da ciò che possano indicare le cifre del Prodotto Interno Lordo – ha detto -, continui a crescere.

Da ricercatore a diplomatico

Sergio Scopetta, professore associato di Fisica Nucleare e Subnucleare di Perugia, associato INFN, è un ricercatore di fama internazionale, come lo dimostrano i suoi articoli pubblicati nelle riviste scientifiche più autorevoli e gli incarichi di grande responsabilità ricoperti presso il Dipartimento dell’Energia, negli Stati Uniti, e presso la Deutsche Forschungsgemeinschaft, l’organizzazione centrale autonoma della comunità di ricerca tedesca. Ricercatore dal 2000 è stato più volte professore invitato a Valencia e ha coordinato i progetti INFN-NIPHA e Perugia-Valencia, quest’ultimo nell’ambito dell’accordo INFN-MICINN. Un curriculum di grande prestigio. È per questo che chiediamo quale sia stata la molla che lo abbia spinto alla diplomazia.

– Perché lasciare la ricerca, cosa lo ha spinto ad intraprendere una nuova strada?

È evidente che la nostra non sia una domanda originale. È molto probabile che già altri l’abbiano fatta. Ma la nostra curiosità è legittima.

– Senz’altro c’è un aspetto personale – ha affermato -. I miei trascorsi con la Spagna sono un qualcosa che mi porto dietro. Vi ho vissuto tre anni, circa 25 anni fa. Allora ero più giovane. Vi sono tornato più volte. Qua ho amici, in particolare a Valencia.

– È stato a Valencia come professore nel 2004, 2008, 2014 e 2015…

– Sono state le mie esperienze come professore ospite – ha commentato per poi aggiungere:

– Dal 1997 al 1999 sono stato a Valencia  in qualità di ricercatore a tempo determinato con fondi europei.

– È stato anche in Germania…

– Sì, un anno a Mainz dopo il dottorato a Perugia. Avevo avuto la proposta di rinnovo ma era maturata la possibilità di tornare in Spagna con un impegno che aveva un respiro più lungo. Da allora ho mantenuto contatti profondi con questo paese… In estate vi sono tornato spesso con la famiglia. Anche mia moglie e mio figlio hanno sviluppato un grande affetto per la Spagna.

Padre di un adolescente, ha commentato che era suo desiderio che il figlio potesse fare un’esperienza all’estero.

– Questo – ha confessato – ha pesato molto sulla mia scelta. Ha pesato molto anche un aspetto più professionale: constatare che effettivamente Italia e Spagna sono molto vicini. E, secondo me, potrebbero esserlo di più. Sono queste le motivazioni che mi hanno spinto. Poi, certamente c’è l’aspetto umano, tipico delle persone che raggiungono un certo livello professionale e si accorgono che, per quanto sia molto interessante ciò che fanno, tende un po’ ad essere sempre la stessa cosa. Cioè, uno fa ricerca: ha un’idea, la sviluppa, fa i calcoli, pubblica, viene invitato a dare conferenze. Questo lo so fare. L’ho fatto e posso farlo ancora. Fare altro, invece… Avevo questa possibilità. Ho pensato: “ora  o chissà, forse mai più”. Uno poi raggiunge una certa età. Se risulta difficile muoversi e stabilirsi in un paese straniero adesso, più avanti lo sarà ancora di più. Mi è sembrato che questo fosse un momento unico. Ho partecipato alla selezione ed ho vinto. Non era scontato. Prima di fare il passo, di partecipare alla selezione, ho chiesto a mia moglie e mio figlio. Si sono espressi favorevolmente. Non l’avrei fatto senza il loro consenso.

Ha raccontato che tutto è maturato molto lentamente. Ed infatti, la notizia che effettivamente era stato scelto l’ha ricevuta a marzo del 2022. Ma ha preso servizio solo ad aprile di quest’anno.

– Mio figlio, quando ci parlai la prima volta – ha confessato -, era entusiasta. Ora, essendo adolescente, lo è meno.

La passione per le scienze

Fino a ieri si occupava di studi teorici di struttura nucleare e subnucleare. Supponiamo che agli addetti ai lavori, e anche agli studenti di fisica, le parole “nucleare” e “subnucleare” siano familiari e probabilmente siano ormai parte del loro lessico quotidiano. Ma per noi sono parole ostiche, difficili da digerire che ci introducono in un mondo al quale non apparteniamo. È per questo che chiediamo di spiegarci su cosa versa la materia che tanto lo affascina e al cui studio ha dedicato tutta la sua vita. Chiediamo soprattutto di farlo con parole semplici, elementari, come se stesse parlando ad un bambino. Insomma, cosciente di avere di fronte, lo affermiamo con umiltà, un giornalista a digiuno di tutto ciò che riguarda la fisica.

– Ci proverò – ha risposto prima di entrare in materia -. La fisica nucleare è quella che studia il nucleo atomico. Quindi, ogni atomo. Sappiamo da circa 120 anni che l’atomo è costituito da tanti elettroni, un po’ dispersi in uno spazio quasi vuoto, con un nucleo molto denso, molto piccolo al centro. Lo scoprì Rutherford,  nel 1911. Questo nucleo è fatto a sua volta di particelle. Sono i protoni e i neutroni. Fino alla scoperta dei neutroni, non si capiva come fosse possibile che i protoni stessero insieme. Normalmente si respingono, perché hanno la stessa carica elettrica. I neutroni fanno un po’ da collante. Questo è ciò che hanno studiato Fermi ed i ricercatori della sua generazione. Subnucleare cosa vuol dire? Vuol dire che all’interno del nucleo, ci sono protoni e neutroni che non sono particelle elementari ma fatte di altre, quelle oggetto delle mie ricerche. Io, nel centro universitario, studio i quark e i ruoli che svolgono. Riteniamo che siano fondamentali all’interno dei protoni e dei neutroni. Ecco, questo è il mio campo di ricerca al quale peraltro, non so esattamente quando, tornerò.

Sergio Scopetta con colleghi italiani alla Cancelleria Consolare

– Come è nata questa passione per la scienza, per la ricerca in un ambito così particolare come quelli nucleare e subnucleare?

– Quando mi iscrissi all’università – ha ricordato – ero fortemente motivato. Ovviamente, mi piacevano e continuano a piacermi tante altre cose.

Ha assicurato che, com’è logico, la scelta è ricaduta su ciò che più lo affascinava. Ha confessato che comunque “non è stata una scelta facile” perché ha dovuto tralasciare altri studi che comunque attiravano la sua attenzione. Ad esempio, il pensiero, la letteratura… materie che, ammette, continuano ad attrarlo.

– C’è stato un momento, negli anni 80, quando frequentavo il liceo, in cui la ricerca italiana, nell’ambito della fisica delle “particelle”, ottenne grandi risultati. Carlo Rubbia vinse il premio Nobel.

Ha spiegato che Rubbia ottenne il Premio Nobel per la scoperta dei bosoni vettoriali. Una materia ostica, molto difficile.

– Nella mia ingenuità – ha proseguito – mi ero fatto alcune idee. Pensai che effettivamente potesse essere la mia via. Si leggevano articoli di divulgazione scientifica, biografie di scienziati. Einstein, ovviamente, ma anche del periodo della meccanica quantistica degli anni 30 e della Scuola di Via Panisperna. La Fisica Nucleare secondo me non è stata una scoperta ma un’invenzione. E il suo massimo inventore è stato Enrico Fermi.

Dopo aver commentato che la tradizione italiana in questo “campo della ricerca è spettacolare” ci ha  raccontato che si è avvicinato “alla fisica, pensando anche all’astrofisica e alla cosmologia”. Poi, ha ammesso, “per motivi più pratici, perché non sempre si può seguire il cuore”, la scelta ricadde sulla fisica nucleare.

-In quel momento – ha spiegato -, a Perugia c’era una scuola di fisica nucleare efficiente che ritenni più affidabile di quella di astrofisica.

–  Lei è stato professore universitario. Cosa è cambiato da quando ha cominciato i suoi studi universitari… quali sono le motivazioni dei giovani d’oggi, in un mondo che offre tante distrazioni ed è così dispersivo?

– Innanzitutto, provando ad essere sintetico, devo dire che c’è una costante che accomuna i giovani di ieri con quelli di oggi:  la passione per la materia. Può sembrare sorprendente, ma questo aspetto non è cambiato. Il giovane vuole studiare la fisica fondamentale, vuole studiare il Big-Bang, vuole studiare il punto iniziale, le cose più di base.

Per quel che riguarda le differenze, afferma che oggi c’è “più consapevolezza della difficoltà di farsi strada”.

– Noi non pensavamo a quello che avremmo fatto dopo. Loro si chiedono da subito dove andare … anche fisicamente. Resto in Italia? Vado all’estero? Vado ad un’altra sede italiana? Anche perché, rispetto ad allora, l’università è cambiata. Prima c’era un corso di laurea. Ora ce ne sono due: la triennale e la magistrale. Alla fine della triennale, c’è  il famoso 3+2. I ragazzi spesso cambiano città, cambiano università. Già hanno in mente cosa studiare.

E si orientano verso quelle città in cui ci sono università, gruppi di ricerca di prestigio. Prima, ha commentato Scopetta, all’università c’era “il grande professore con il quale si avevano contatti molto, ma molto limitati”. Spesso non c’era affatto. Oggi, ha assicurato, non è più così.  Per quel che riguarda le distrazioni, poi, segnala il magico mondo dell’internet. Ma non lo ritiene un fenomeno negativo. Anzi…

– Per studiare – ha ammesso – è una cosa fantastica. Io da laureando, facevo ricerca in un dipartimento di fisica giovane, in una università piccola. Su tre articoli che mi servivano ne trovavo uno. Dovevo telefonare a Roma e chiedere mi inviassero gli articoli via fax. Cioè, un professore doveva andare in biblioteca, cercare l’articolo di cui avevo bisogno e farmi la cortesia di fotocopiarlo e inviarlo per fax. Ed il fax,  spesso, non funzionava. Oggi si fa tutto col telefonino.

Ci mostra il suo, poggiato sul tavolo e sorride.

– Ecco, qui abbiamo la biblioteca di Alessandria. È una cosa fantastica. I giovani d’oggi devono andare molto più veloci e lo fanno. Quindi, le differenze, a mio avviso, sono queste… una maggiore preoccupazione per il futuro, una maggiore capacità anche tecnica di andare avanti, una maggiore indipendenza.

– Come si concilia la pratica con la teoria?

– Nella scienza la teoria da sola non esiste. Non esiste una persona che abbia ricevuto il premio Nobel solo per aver avuto una bellissima idea. C’è chi ha avuto una bellissima idea e c’è chi ha fatto l’esperimento. Con questo voglio dire che la scienza moderna, per definizione, è sperimentale. Anch’io che sono un fisico teorico ho fatto tanti esami di laboratorio. Nella mia quotidianità professionale parlo con gli sperimentali, anche se non sono fisicamente presente nei laboratori. Fra teoria e pratica, non c’è scollatura.

Ha fatto poi notare che “la conoscenza va usata per migliorare la vita delle persone”. Il passo seguente, quindi, è il brevetto, l’applicazione industriale che porta anche alla crescita economica del Paese in cui si realizza. Ha riconosciuto suo malgrado che in Italia esiste “uno scollamento tra i luoghi in cui si fa la ricerca, università ed enti pubblici di ricerca, e l’industria”.

È anche vero che nei paesi anglosassoni, in generale, sono le industrie che finanziano la ricerca. In Italia?

– È una nota dolente, questa, sia per l’Italia e sia per la Spagna. Proprio in questi giorni ho messo online una relazione breve su questi temi che mi è stata chiesta dalla Farnesina.

Si tratta di una ricerca che si può leggere su “Innovitalia: il portale della diplomazia scientifica” e nella quale, tra l’altro, il professore Scopetta mette a confronto Italia e Spagna. Le cifre sono significative e meritano una riflessione.

Per concludere chiediamo se ha trasmesso a suo figlio la  passione per la scienza.

– Mio malgrado, anche se credo che un fisico in famiglia sia più che sufficiente, devo dire che mio figlio ha il “pallino” della scienza e, più di me, della tecnologia. Non ho fatto nulla perché ciò avvenisse. Io non sono appassionato di tecnologia. Mi piace sapere come funziona il telefono. Poi, una volta che so come funziona, le applicazioni e altre cose mi lasciano abbastanza indifferente. Invece mio figlio no. È appassionato di modellismo, di droni in particolare. Su questo ha delle competenze che considero incredibili. Conosce tante leggi della fisica e le applica senza sapere il perché.  È un primo passo. Secondo me, vorrà fare robotica… applicazioni tecnologiche di questo tipo.

Mauro Bafile

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