Editoriale – Elezioni politiche in Spagna, partecipare nonostante tutto

In Spagna, il prossimo 23 luglio si torna alle urne.  Ma i connazionali residenti nel Paese, a differenza di quanto accaduto il 28 maggio in occasione delle comunali, non potranno né votare né candidarsi. In altre parole, non potranno contribuire a decidere l’indirizzo politico ed economico del paese e tantomeno aspirare ad integrare una delle liste dei candidati alle due Camere, quella del “Congreso de los Diputados” e quella del Senato.

Dunque, almeno in teoria, saremo spettatori di un avvenimento che comunque avrà ripercussioni profonde sulla nostra vita e quella dei nostri figli; di un evento sempre storico per una democrazia. Sottolineiamo “almeno in teoria” perché comunque da “semplici spettatori” potremo sempre trasformarci in “co-protagonisti”, se così la nostra coscienza democratica ce lo indica. La chiave sta nella partecipazione, nel sentirci parte integrale del tessuto sociale del Paese.

Sono tanti i modi in cui si può partecipare. Ad esempio, ci si può avvicinare al partito con cui meglio ci si identifica, e quindi collaborare affinché possa ottenere il miglior risultato nel prossimo appuntamento elettorale. O si possono promuovere discussioni o dibattiti coinvolgendo amici spagnoli che sì hanno diritto al voto. Si partecipa anche semplicemente informandosi sulle proposte elettorali dei diversi schieramenti, prendendo coscienza di ciò che è in gioco, di ciò che si guadagna o si perde in materia di diritti civili e sociali se dovesse vincere l’uno o l’altro schieramento.

Spesso si commette l’errore di ritenere che tutto ci è dovuto. E che quindi le conquiste della società in materia di diritti civili,  ottenute dopo anni di lotta e sacrifici, siano eterne, intoccabili, irreversibili. Purtroppo, non è così. Possono essere stemperate o, addirittura, derogate. È per questo che partecipare alla vita politica del paese vuol dire anche avere la possibilità di contribuire ad evitare un ritorno al passato. A volte, a scongiurare un ritorno agli anni bui dell’intolleranza razziale, della xenofobia o dell’omofobia.

Da qualche tempo a questa parte, e il nostro Giornale se n’è fatto promotore assieme al Comites di Madrid, la comunità italiana in Spagna, mostrando una grossa maturità, ha cominciato a rivendicare il diritto alla doppia cittadinanza; il diritto a non appartenere più alla categoria di cittadini di “Serie B”. Riteniamo che i tempi, ormai, siano maturi.

Un accordo tra Italia e Spagna sulla doppia cittadinanza permetterebbe a tutti noi, ma anche ai cittadini spagnoli in Italia che così lo desiderassero, di fare il passo decisivo verso la vera integrazione: sentirsi non più “ospiti” nel paese in cui si risiede ma “cittadini” a pieno diritto.  E permetterà di esercitare quello che è forse il più importante dei diritti civili: la partecipazione politica.  Votare per definire chi avrà le redini del Governo, o essere votato per occupare uno scranno dal quale difendere o meno l’approvazione di provvedimenti orientati a migliorare la qualità di vita della popolazione, è in realtà ciò che ci rende cittadini a pieno titolo del paese in cui ciascuno risiede, in cui lavora, ha messo radici e nel quale sono nati e vivono i figli.

Oggi la nostra partecipazione politica “attiva” solo potrà essere “indiretta”.  Dipenderà da tutti noi, se in un futuro si potrà cominciare ad essere protagonisti in prima linea. I diritti si ottengono lottando. Ed è quello che dovremo fare sostenendo chi ha già fatto della doppia cittadinanza una sua bandiera.

Mauro Bafile

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