Editoriale – Due Paesi, due modi diversi d’interpretare l’immigrazione e l’emigrazione

Due paesi, due modi diversi d’interpretare i fenomeni migratori. Italia e Spagna si assomigliano. Ma, nonostante una storia e una cultura che s’intrecciano nel corso dei secoli, oggi le politiche di accoglienza, nei confronti di chi sfida il Mediterraneo per fuggire dalle guerre, dalle violenze e dalla fame, e quelle rivolte verso i propri connazionali che vivono all’estero, s’ispirano a filosofie diverse e a principi assai lontani gli uni dagli altri.

Italia e Spagna sono paesi di prima accoglienza. Cioè quelli verso cui puntano migliaia di disperati che attraversano il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Sono i paesi sui quali ricade la responsabilità del soccorso in mare e della prima accoglienza in terra.

Nonostante la posizione del Governo spagnolo si sia andata irrigidendo sempre più, i concetti di “responsabilità, solidarietà e umanità” restano inalterati e ispirano le politiche di intervento e salvataggio in alto mare e di collaborazione con le Ong che si adoperano per salvare vite. Basta ricordare quanto accaduto nel 2018 con l’“Aquarius”, la nave di “Medici senza Frontiere” con 629 migranti a bordo alla quale le autorità di Malta e Italia negavano la possibilità di attraccare nei propri porti.

Oggi, il governo italiano osteggia le Ong che riscattano i migranti, proibendo loro di lasciare i porti. E lo fa all’inizio di una stagione in cui, per il buon tempo, cresce tradizionalmente il numero di barconi che s’avventurano in mare con migliaia di esseri umani. Recente è la tragedia di Cutro che, stando agli esperti, sembra che si sarebbe potuta evitare.

Le differenze tra Spagna e Italia non si limitano alla migrazione proveniente dai punti caldi dell’Africa. Cioè dai paesi in guerra come Libia, Mozambico, Nigeria, Congo, Somalia, Sudan, Mali, solo per nominarne alcuni. Diverse sono anche le sensibilità nei confronti dei loro connazionali che vivono all’estero.

Stando a quanto riportato dal quotidiano “La Repubblica” (Farnesina in allarme: “Dal Sudamerica possibili milioni di richieste di cittadinanza di oriundi” – 23/03/2023), l’aumento di richieste di cittadinanza da parte dei nostri connazionali in America Latina preoccupa il Ministero degli Esteri. L’allarme non è per i motivi che muovono gli oriundi italiani ad esercitare un diritto, ma per le sue conseguenze. In altre parole,  il timore è che i consolati, in particolare quelli di Argentina e Brasile, potrebbero restare sommersi da un’ondata di cittadini che, una volta ricostruita la propria ascendenza italiana, avrebbero le carte in regola per richiedere la cittadinanza. “Repubblica” parla di “patriottismo di ritorno” di cittadini che, sottolinea, stando al Ministero degli Esteri, non avrebbero “più legami linguistici né culturali con il nostro Paese”. Una maniera di mettere in dubbio l’italianità di figli, nipoti e pronipoti di emigranti italiani senza conoscere le realtà di queste comunità né la forza del legame con radici che proprio la lontananza ha contribuito a rendere più solide. E senza tener conto che quei discendenti di italiani che un giorno andarono via per fuggire da un’Italia devastata dalla guerra, oggi lo fanno per migliorare i propri studi, le possibilità di lavoro e di crescita personale, e non solo per allontanarsi da situazioni economiche e politiche critiche.

In realtà, ciò che preoccupa la Farnesina non è il maggiore o minor legame “linguistico e culturale con l’Italia” di chi chiede la cittadinanza, ma la quantità. L’organico dei nostri Consolati, come più volte denunciato da Comites e Cgie, risulta da anni, troppi anni, inadeguato a far fronte alle esigenze dei connazionali. E non solo oltreoceano, ovunque. Ad esempio, nei paesi europei cresce esponenzialmente la presenza di giovani italiani alla ricerca di una migliore qualità di vita. Nonostante ciò, l’organico dei Consolati resta inalterato con conseguenti disagi per i cittadini che per ottenere un documento devono attendere settimane o mesi. Nonostante la loro professionalità e impegno, è normale che i funzionari di qualunque consolato non riescano a smaltire l’incremento quotidiano di pratiche burocratiche. Tutto ha un limite.

Ora anche la Spagna si appresta a ricevere un’ondata di nuove pratiche di cittadinanza. La “Ley de Memoria Democrática” ne riconosce il diritto ai figli, nipoti e pronipoti dei cittadini che furono costretti ad abbandonare il Paese durante la guerra civile, scoppiata nel 1936, e successivamente a causa della feroce repressione “franchista”. Un atto di giustizia dovuto. Allora, milioni di spagnoli fuggirono. Tanti si recarono in Francia. Molti di più, in America Latina. È per questo che il ministero degli Esteri spagnolo ha sollecitato a quello del Tesoro l’approvazione di un aumento di circa 300 funzionari per far fronte alle nuove esigenze dei Consolati.

Due realtà, quindi, assai simili; due sensibilità altrettanto diverse. La politica italiana, forse, dovrebbe seguire l’esempio di quella spagnola che, in questione di diritti civili, ha molto da insegnare.

Mauro Bafile