Una decisione a dir poco discutibile. Il 20 e 21 settembre si voterà, contro vento e maree. Gli italiani, dentro e fuori l’Italia, sono chiamati ad esprimersi su una riforma costituzionale il cui obiettivo non va al di là della semplice riduzione dei parlamentari.
Non entriamo in merito ad una proposta dalla profonda componente demagogica. Lo faremo. Ma non ora. Quel che ci preme sottolineare, in questa occasione, è l’inadeguatezza del momento.
La pandemia, la cui seconda ondata si è anticipata all’autunno e ad ogni previsione, ha creato un contesto che merita un attimo di riflessione. Oggi, l’attenzione dell’opinione pubblica dovrebbe centrarsi sui pro e i contro della riforma costituzionale. Invece, nel dibattito politico nazionale non svolge neanche il ruolo di co-protagonista. Semmai, quello di comparsa. D’altronde, in piena pandemia, è ben altro ciò che preoccupa gli italiani. Ad esempio, l’aperura “in sicurezza” di un nuovo anno scolastico.
Lo scenario che fa da sfondo al Referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari è inquietante. Lo è in Italia dove il governo, in seguito alla recrudescenza dei contagi, ha prorogato lo Stato d’Emergenza. E lo è ancor più all’estero. In America Latina, ad esempio, la pandemia è ancora fuori controllo. A rischio, quindi, è il voto di oltre 6 milioni di connazionali, un decimo della popolazione italiana. Tanti sono gli iscritti all’Aire.
Nei paesi di maggior emigrazione, in Europa e oltreoceano, l’inasprimento dei contagi rischia di compromettere seriamente la partecipazione delle nostre comunità. Sono tanti i Consolati chiusi a seguito dei contagi, tante le limitazioni imposte alla libera circolazione in molti paesi. Argentina, Brasile, Francia, Germania, Venezuela, solo per nominarne alcuni, sono Paesi in cui sicuramente la percentuale di partecipazione al voto subirà una drastica contrazione.
Non mancherà chi, il giorno dopo il Referendum, porrà nuovamente la questione del “voto all’estero”. E risolleverà la polemica tanto cara a quelle correnti politiche che considerano le nostre comunità più che una ricchezza una zavorra da gettare al mare, da abbandonare al proprio destino. Non mancherà chi accuserà gli italiani all’estero di ricordarsi della Madrepatria solo nel momento in cui esigono il “passaporto”, che apre le porte all’Europa. Saranno rispolverati i soliti argomenti che tracciano un solco enorme tra chi vive in Italia e chi, invece, all’estero.
Se in Brasile uno sciopero ad oltranza degli impiegati delle poste potrebbe rendere impossibile la partecipazione di oltre 500mila italiani, in Venezuela i provvedimenti presi dal Governo, per ridurre il numero dei contagi, potrebbe compromettere seriamente l’esercizio del voto e in Argentina la quarantena è stata estesa ulteriormente, ora fino al 20 settembre. Sono tre casi limite, che illustrano la drammaticità del momento. Ma a questi si potrebbero aggiungere quelli della Germania, della Francia, della Spagna e di altre nazioni in cui la paura al contagio potrebbe rendere vano l’impegno delle sedi diplomatiche e consolari nella distribuzione dei plichi elettorali.
Il caso del Venezuela è emblematico. La consegna dei plichi elettorali ha sempre rappresentato un dolore di testa per le autorità diplomatiche e consolari. Le poste locali sono inefficienti e pressoché inesistenti. Dal canto loro, i “courier” privati solo raggiungono alcuni quartieri di classe media.
A complicare il già complesso scenario si aggiungono non solo la crisi economica, la repressione politica e il dilagare della delinquenza, ma anche le restrizioni alla libera circolazione. Il Governo venezuelano, per evitare l’incremento dei contagi, ha decretato la “quarantena a singhiozzo”. Anche la carenza di benzina limita la possibilità di spostamento.
L’Ambasciata d’Italia a Caracas raccomanda, con ragione, di aprire all’istante il plico, votare e inserire la scheda nella busta bianca da consegnare immediatamente al postino. Ma quanti seguiranno questo suggerimento? Quanti indugeranno di fronte al pericolo di contagio?
Il Referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, salvo improbabili colpi di scena, è ormai una realtà. Pare proprio che il voto di 6 milioni di italiani all’estero conti meno di quello dei quasi 6 milioni d’italiani che vivono nel Lazio o nella Campania, o dei quasi 5 milioni residenti in Sicilia e nel Veneto. Tutte regioni tra le più popolate d’Italia. Cittadini di serie B? Vorremmo pensare di no, ma i fatti purtroppo indicano il contrario.
Mauro Bafile