Primo Maggio, la sfida di Guaidó

Juan Guaidó. Dialogo
Juan Guaidó

Dopo essersi compattata nuovamente, questa volta attorno alla figura di Juan Guaidó che è riuscito a portare una ventata di ottimismo e di speranza, l’Opposizione si appresta ad affrontare un nuovo appuntamento in piazza. L’occasione sarà offerta dalla commemorazione della “Festa del Lavoro”, il Primo Maggio. Il Presidente designato dal Parlamento ha assicurato che sarà “una manifestazione spettacolare, mai vista nella storia del Paese”. Perché sia così, i venezuelani dovranno vincere la paura dei “colectivos”, le bande di motociclisti filogovernativi trasformate in vere e proprie formazioni paramilitari, e sfidare la repressione di Stato, sempre più violenta, sempre più brutale.

Com’è ormai consuetudine, anche il “Partido Socialista Unido de Venezuela” organizzerà la sua manifestazione per commemorare la “Festa del Lavoro”. Sarà l’ennesima “contro-manifestazione” che dividerà la capitale tra chi, zoccolo duro del “chavismo”, si batte ancora per conservare il potere e chi, invece, aspira a un cambio di rotta. La capitale, nettamente spaccata in due, riproduce idealmente una società in cui convive chi ancora crede nelle promesse di un regime che pochi riconoscono legittimo e chi si nutre dell’illusione di una svolta che possa permettere la costruzione di un paese migliore, democratico, in cui il benessere del “collettivo” abbia prevalenza su quello del “singolo”.

L’orologio corre a favore del Governo e non certo dell’Opposizione. Esasperati da una crisi che li soffoca, i venezuelani reclamano soluzioni immediate. Ma queste, alla luce della realtà del Paese, sono impossibili. Juan Guaidó ne è cosciente, come lo è che gli umori della popolazione sono volubili. Oggi la stragrande maggioranza dei venezuelani manifesta ottimismo e speranza, domani potrebbe di nuovo sprofondare nella sfiducia e nella disperazione.  Ad alimentare lo stato di avvilimento contribuiscono non solo i continui slogan e interventi del presidente Maduro, trasmessi a rete unificate, ma anche i messaggi dell’ala radicale dell’Opposizione. Questa suggerisce scorciatoie che rappresenterebbero un salto nel buio e che sono impraticabili per chi vuole ricostruire un paese democratico.

Il Governo tiene duro. Sa che il tempo gioca a suo favore. Se sul fronte internazionale può contare sulla solidarietà e sostegno della Russia, della Cina e di un insieme di governi autocratici – leggasi, Iran, Siria e via di seguito – tutti non certo esempio di libertà, democrazia e uguaglianza, in quello interno ha il sostegno delle Forze Armate e il controllo dei “colectivos”. Si sente, quindi, in una botte di ferro. E non lo nasconde. La violenza con la quale la Polizia e le Forze Armate reprimono qualunque tipo di contestazione ne è dimostrazione e funge da ottimo deterrente. Quindi, deve solo attendere che lo scoramento torni a far breccia in seno a chi gli si oppone. E che le incomprensioni e i contrasti egemonici, per il momento in un secondo piano, riappaiano per dividere la coalizione che oggi sostiene Guaidó.

La crisi politica, ma soprattutto l’inerzia di chi ha effettivamente le redini del Paese, si ripercuote drammaticamente sul benessere della popolazione. L’economia venezuelana, quella struttura produttiva che nei paesi sviluppati è proiettata verso la crescita, è stata distrutta. L’industria privata è solo un ricordo, il commercio è quasi inesistente, e la burocrazia improduttiva continua a crescere. Dulcis in fundo, l’industria statale, anche quella che prima dell’ascesa del “chavismo” era esempio d’efficienza, come la petrolifera, ora è sull’orlo del baratro.

Gli esperti considerano che il primo trimestre del 2019 sia stato il peggiore nella storia del Paese. Molte industrie, delle poche che ancora sopravvivevano alla crisi, non hanno riaperto dopo le vacanze natalizie, il commercio presenta un indice di mortalità preoccupante e, come se ciò non fosse sufficiente, l’offerta dell’Holding petrolifera, stando alle cifre dell’Opec, supererebbe di poco i 700mila barili al giorno.

I servizi pubblici sono sempre più precari. Il black-out del 7 marzo e quelli successivi sarebbero costati circa il 3 per cento del Prodotto Interno Lordo, in un paese in cui il Pil, negli ultimi 4 anni, ha sofferto una contrazione di oltre il 50 per cento.

L’iper-inflazione, poi, continua a demolire la qualità di vita del venezuelano. A marzo il carrello della spesa aveva raggiunto un costo di 2 milioni 491mila 159 bolívares, a fronte di un salario minimo di appena 18mila Bs. Sono cifre da capogiro che giustificano le proteste spontanee represse con violenza sul nascere. Qualunque aumento dei salari che sarà decretato dal governo il Primo Maggio, sarà insufficiente per colmare il gap creatosi, se non verrà accompagnato da provvedimenti impopolari, un lusso che il presidente Maduro, la cui popolarità è ai minimi storici, non può permettersi.

Il “Foro Penal Venezolano” ha reso noto che nel primo trimestre gli arresti arbitrari sono stati mille 503. Di questi, i detenuti ancora in carcere sono 765. Al 31 marzo, sempre stando all’autorevole Ong, i prigionieri politici erano 864.

L’esodo di venezuelani continua senza sosta mentre chi resta soffre le penurie di un Paese in cui manca di tutto.  Questo Primo Maggio, per l’Opposizione, è l’occasione per mostrare i muscoli e dare un’immagine di unità; per il governo, un appuntamento come un altro per mostrarsi forti, ben saldi nel potere e nascondere la propria crescente debolezza.

Mauro Bafile

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