Mostre: Mæternità, cura e tenerezza nell’Italia antica

Statua di terracotta simbolo della mostra "Mæternità"
Statua di terracotta simbolo della mostra "Mæternità" nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. (ANSA)

ROMA. – Avvolti sotto un unico manto, come a voler proteggere tutta la famiglia, un uomo e una donna si stringono tenendo in braccio il proprio bambino e al fianco altri due figli: questa amorevole scena ritratta in una piccola statua di terracotta sintetizza con grazia e tenerezza la mostra “Mæternità” con la quale il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia esplora i temi della maternità e dell’allattamento nel mondo antico.

Allestita nella Sala di Venere dal 23 marzo al 2 giugno, l’esposizione si concentra su un nucleo di piccole statuette votive, reperti preziosi provenienti dai depositi del museo, alcuni esposti per la prima volta e restaurati per l’occasione, che costituiscono tracce visibili del vissuto familiare delle popolazioni etrusche e romane.

Grazie a una serie di accurati pannelli didattici, il breve ma intenso percorso rivela più di una curiosità: a differenza di quanto tramandato dalle fonti scritte (tutte di autori maschi appartenenti a mondi aristocratici) i bambini per Etruschi e Romani erano al centro di un complesso sistema di cure e attenzioni.

La maternità era infatti una questione che non riguardava solo mamma e bambino, ma tutta la famiglia, che era “allargata”, perché comprendeva padre (molto presente) e madre, insieme anche tutti i parenti, nonché gli schiavi, ossia le nutrici e il pedagogo: ognuno faceva la sua parte per far sì che i piccoli raggiungessero l’età adulta.

Nei reperti archeologici esposti, tutti usati per ringraziare o chiedere protezione – dalle statuette in terracotta (tra queste anche quelle tipiche dell’Etruria meridionale e del Lazio, che ritraggono il bambino accanto a una coppia, formata o da uomo e donna o da due donne) agli amuleti, dalla piccola urna cineraria che sembra una culla agli specchi in bronzo – emerge la vita quotidiana di famiglie i cui valori non sono poi tanto distanti dai nostri.

Ma a emergere è anche quella che sembra essere una verità certa: ossia che nella società antica, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni studiosi, il bambino aveva un’importanza fondamentale, era fonte di grande gioia ma anche di grande dolore. Proprio per l’alta mortalità infantile, si cercava di allattare i piccoli fino a 2 o 3 anni, per evitare i pericoli dello svezzamento precoce, e se la mamma non aveva latte si ricorreva alle zie, alle nonne o alle balie.

Quando un bambino moriva, grande era la disperazione nelle famiglie: secondo le fonti scritte i piccoli sotto i 3 anni non dovevano essere pianti perché ancora non veri e propri individui, ma i reperti dimostrano il contrario.

L’approccio scelto nella mostra, che ha anche il sostegno del Comitato provinciale Unicef di Roma, è storico, religioso e antropologico insieme: “Abbiamo voluto comprendere il comportamento e il pensiero delle madri e delle famiglie usando il criterio della verosimiglianza e della lunga durata, partendo ovviamente dal contesto dato dalle fonti scritte. Ma le fonti possono essere smentite”, spiega oggi Giulia Pedrucci, curatrice della mostra con Vittoria Lecce, “i reperti mostrano una certa coerenza lungo i secoli nei comportamenti legati alla maternità perché insiti nell’animo umano. Ad esempio il lutto dei bambini: anche quando riguardava bimbi sotto i 3 anni abbiamo strazianti documentazioni”.

“Soffermarsi sulla donna in un universo maschile come quello antico significa raccontare pagine sconosciute, che i libri di scuola non raccontano. La mostra documenta quanto culture diverse tra loro, come quella romana, etrusca e greca, fossero in realtà tutte portatrici di valori che dovrebbero essere validi ancora oggi”, afferma Valentino Nizzo, direttore del Museo Nazionale Etrusco, spiegando che la mostra “si inserisce gratuitamente nel biglietto del museo e in un percorso più lungo che durerà fino a settembre, legato alle tematiche del femminile, come nascita, maternità e rinascita”.

(di Marzia Apice/ANSA)

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