Regionali, il dilemma non esiste

Un dilemma che, in realtà, non è tale. Non esiste o non dovrebbe esistere. La polemica, stando agli esperti in materia, è solo fine a se stessa, sterile. Creata dalle frange estremiste che sono numericamente inconsistenti, ma che gridano più di altre e sanno come creare confusione. E’ il caso di “Vente Venezuela” e di “Alianza Bravo Pueblo” che, contrariamente a quanto deciso dal Tavolo dell’Unità Democratica, hanno annunciato che non parteciperanno alle prossime regionali e accusato i partiti che hanno deciso, invece, di raccogliere la sfida del governo, di tradire la volontà dei cittadini che hanno partecipato alle proteste e il sacrificio delle 126 vittime della repressione. Accusano, denunciano, rimproverano ma non offrono alternative. Il loro è solo un salto nel vuoto.

L’ex presidente del Parlamento, Henry Ramos Allup

Eppure, come ha fatto notare l’ex presidente del Parlamento Henry Ramos Allup, ritirarsi sull’Aventino non è soluzione per l’Opposizione. Lo ha fatto in passato, lasciando il terreno libero all’estinto presidente Chávez che ne approfittò per la sua scalata al potere assoluto; quello stesso potere che non era stato capace di conquistare con la forza delle armi. I risultati li conosce anche chi, vent’anni fa, era solo un bambino. E il paese, nel bene o nel male, ne soffre ancora le conseguenze.

Maria Corina Machado, leader del movimento politico “Vente Venezuela”

“Vente Venezuela” e “Abp” sostengono che, con l’attuale Consiglio Nazionale Elettorale, sarà impossibile trionfare in qualunque elezione. Eppure l’esperienza dimostrerebbe il contrario. E’ difficile difendere la loro tesi quando l’attuale Parlamento, la cui maggioranza assoluta è costituita da deputati del Tavolo dell’Unità Democratica, fu eletto nel dicembre del 2015 rispettando le regole del gioco imposte dal governo del presidente della Repubblica, Nicolás Maduro: apparecchiature programmate da Smartmatic, inutili dispositivi di cattura delle impronte digitali, e Cne su misura. Le parlamentari, sostiene Henry Ramos Allup, hanno dimostrato che quando i voti sono una valanga e si è disposti a difenderli, è poco probabile, se non impossibile, che chi controlli i fili del potere possa fare brogli tanto eclatanti. E allora è spontaneo chiedersi, perché insistere nel non presentarsi? Perché commettere gli stessi errori di un passato recente?

Nell’Opposizione, in realtà, non dovrebbe esistere nessun dilemma. I Governi regionali e comunali rappresentano il potere più vicino ai cittadini. Sono gli unici che permettono un dialogo permanente con le famiglie, con gli elettori. La loro importanza è quindi fuori discussione. E’ il primo gradino, il più importante, che conduce all’esercizio della democrazia reale.

Mai un governo, nella storia democratica del Venezuela, è stato così isolato a livello internazionale come lo è oggi quello del presidente Maduro. La situazione che vive l’attuale Potere Esecutivo è solo paragonabile, forse, a quella che dovette affrontare nel 1902 Cipriano Castro, il “caudillo tachirense” che conquistò il potere con la forza nel 1898, dopo aver invaso il Paese da Cucuta e cavalcato trionfante fino a Caracas. A causa delle continue insurrezioni armate e della crisi dei prezzi dei prodotti agricoli – allora l’economia del Paese si sosteneva grazie all’esportazione di cacao e soprattutto del caffè di cui il Venezuela era il secondo esportatore al mondo dopo il Brasile – Castro si trovò nell’impossibilità di fronteggiare l’enorme peso che rappresentava il debito estero. Fu costretto a posporne il pagamento provocando l’ira di Inghilterra e Germania che decisero l’assedio alle coste venezuelane con le loro navi da guerra. Iniziativa, questa, alla quale aderì quasi immediatamente anche l’Italia. Famoso è il proclama di Castro: “Il piede insolente dello straniero ha profanato il sacro suolo della patria”.

Seguirono anni assai duri in cui Francia, Stati Uniti e Olanda ruppero le relazioni diplomatiche, e altre nazioni isolarono il Paese fino al colpo di Stato del 1908. Con la dittatura del “Benemerito” Juan Vicente Gómez le relazioni diplomatiche con il resto del mondo tornarono poco a poco alla normalità. Ma erano altri tempi. Il Paese, fin dalla sua indipendenza, solo aveva vissuto brevi periodi di pace e la parola “democrazia”, tanto di moda oggi, non esisteva ancora nel suo vocabolario.

Il Paese, ora, si è trasformato improvvisamente, grazie anche alla grande stampa internazionale attratta dalle proteste represse con estrema violenza dalle forze dell’Ordine e dai tanti, troppi morti, in una pedina importante nella partita diplomatica che Russia, Cina e Stati Uniti d’America giocano in America Latina. In questo contesto, i venezuelani che hanno sostenuto e sostengono il governo interpretano un ruolo non secondario. C’è chi oggi fa un distinguo tra passato e presente, tra “chavismo” e “madurismo” considerando il primo sinonimo di benessere e della promessa di un futuro migliore e il secondo, invece, di corruzione e malgoverno. Il presidente Chávez ebbe la fortuna di governare in un’epoca di grande prosperità, grazie ai prezzi del petrolio sopra ogni aspettativa; livelli che probabilmente non saranno mai più raggiunti. Le ricchezze derivate dalla vendita di greggio gli permise ogni eccesso e di migliorare le condizioni di vita dei venezuelani. La bolla del petrolio, però, prima o poi doveva esplodere. E quando lo ha fatto ci si è ritrovati con un tessuto industriale, che era stato costruito con tanto sacrificio dal 1958 in avanti grazie anche al lavoro dei nostri emigrati, distrutto da politiche populiste che miravano al presente senza pensare al futuro. Oggi la realtà è un’altra. Di fronte ad una crisi dalle proporzioni dantesche, gli slogan del presidente Maduro sono solo parole prive di contenuto. Di fronte ai mille problemi da affrontare quotidianamente, il malessere della popolazione cresce così come il dilemma: cosa fare in caso di elezioni? Esperti in materia, hanno affermato più volte che il “chavismo critico” difficilmente voterà per i candidati del Tavolo dell’Unità Democratica. Il suo malcontento probabilmente si esprimerà attraverso l’astensione, già a livelli assai alti, o il voto nullo. Assenteismo e voto nullo, quindi, che potrebbero rappresentare una manifestazione di protesta equivalente al “voto castigo”.

Foto avn.info.ve

Nel governo pare crescere la certezza che se l’Opposizione dovesse presentarsi unita nelle regionali, così come fece nelle parlamentari, la sconfitta sarebbe inevitabile. Potrebbe cercare di ridurre i danni imponendo regole di gioco che lo favoriscano o, addirittura, rimandando tutto alle ”calende greche”. L’Assemblea Nazionale Costituente, con la quale governerà per due anni e forse anche di più, e il sostegno delle Forze Armate gli permetterebbe questo e altro ma, così facendo, mostrerebbe la sua vocazione autoritaria.
Se per l’Opposizione non esiste, o non dovrebbe esistere un dilemma, quindi, per il governo, i dubbi oggi sono tanti, tutti malcelati dietro un’apparente sicurezza, un linguaggio sempre più aggressivo e le minacce di carcere per l’Opposizione, a prescindere dal partito di appartenenza e dall’immunità parlamentare.

Il Presidente Donald Trump

Le minacce estemporanee formulate dal presidente Trump, che ci riportano all’epoca di James Monroe o dei colpi di Stato promossi dalla Cia, hanno avuto il merito di far trovare un punto d’accordo a Governo e Opposizione, almeno per una volta: è inaccettabile qualunque intervento militare di una forza straniera in suolo venezuelano. Sono altri gli strumenti che nel mondo moderno possono essere impiegati per evitare la deriva autoritaria di un governo. Tocca alla diplomazia e non alle armi giocare il ruolo di protagonista nella crisi venezuelana. E, a livello interno, alla dialettica politica e ideologica.
C’è chi insinua che le elezioni regionali si realizzeranno solo se il governo avrà la certezza di vincere. E, in effetti, dopo la debacle nelle parlamentari, il governo ha evitato ad ogni costo altri appuntamenti elettorali. Nel caso, poi, dell’Assemblea Nazionale Costituente, ha stabilito regole inaccettabili per l’Opposizione. Con le regionali potrebbe fare altrettanto. La Costituente potrebbe decidere di cambiare le regole del gioco. Lo ha già fatto anticipandole ad ottobre, nella speranza, forse, che il Tavolo dell’Unità Democratica non riesca in così poco tempo a presentare una rosa di candidati unitaria. Si entra, però, nel territorio delle speculazioni, dove tutto potrebbe essere possibile.
Mauro Bafile

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