La debacle economica dopo vent’anni di “chavismo”

Le proteste fanno parte, ormai, della nostra quotidianità. Si susseguono nei giorni con sorprendente puntualità, così come, con altrettanta straordinaria puntualità si ripete la violenta repressione con strascichi di feriti, arresti e, troppo spesso purtroppo, morti. Il Paese si è abituato a vivere in uno stato di continua tensione. E intanto l’economia continua a soffrire per la paralisi delle attività produttive dovuta a tante ragioni: il timore agli espropri, che ha bloccato nuovi investimenti in attesa di tempi migliori; la mancanza di valuta per l’importazione di materie prime; la concorrenza sleale dello Stato che importa prodotti, a volte di dubbia provenienza e senza un controllo di qualità, che vende poi a “prezzi politici” improponibili per i privati; i saccheggi, che si susseguono a ritmo incalzante a volte senza che le autorità intervengano per evitarli; e le politiche populiste del governo condite di minacce più o meno velate. Dulcis in fundo, la politica dei controlli dei prezzi e dei cambi che rende impossibile ogni progetto d’investimento e l’iperinflazione, che impedisce qualunque strategia a medio e lungo termine.

A risentire della particolare, complessa realtà del paese anche la nostra Collettività, fatta non solo da professionisti, artisti, scienziati e intellettuali ma anche, forse soprattutto, da imprenditori piccoli e medi.
La nostra Collettività, come quelle spagnola e portoghese, è tra le più numerose del Paese. Forse non si dovrebbe parlare più di “comunità straniera”, semmai si dovrebbe usare la frase “comunità di origine straniera” perché quella italiana è profondamente integrata nel tessuto sociale del Venezuela, è presente in ogni settore della società ed è ormai costituita soprattutto dalle seconde e terze generazioni. I pionieri, purtroppo, ci stanno lasciando. La crisi economica e quella politico-istituzionale hanno colpito la nostra Collettività tanto come il resto della popolazione. Nessuno è estraneo alla mancanza di cibo e generi alimentari, di medicine e beni di consumo. Tutti risentono dell’incremento della criminalità che lo scorso anno ha fatto ben oltre le 17mila vittime dichiarate della Procura Generale. Secondo l’autorevole Ong “Observatorio Venezolano de la Violencia” parliamo di più di 28mila omicidi.
Oggi sono sempre di più gli italo-venezuelani che, dopo una vita di sacrifici e di lavoro, si recano in Consolato in cerca di aiuto perché, con l’inflazione del 700, 1000 per cento non riescono ad acquistare neanche gli alimenti più economici. Chi maggiormente risente della crisi sono gli anziani e i pensionati perché, più di altri, hanno bisogno di medicine e di assistenza medica. Entrambe ormai hanno raggiunto prezzi proibitivi. Ed è a loro, e solo a loro, che è orientato il milione di euro stanziato dallo Stato italiano e annunciato recentemente dal ministro degli Esteri, Angelino Alfano.

Il Paese, è bene ricordarlo, era in crisi ancor prima che l’estinto presidente Chávez assumesse le redini del governo. L’economia del Venezuela è sempre dipesa dai prezzi del petrolio. Esistevano, però, un’industria fiorente, in gran parte creata dagli emigranti italiani, che produceva valore aggiunto e posti di lavoro, e una produzione agricola che riusciva a soddisfare almeno il 75 per cento del fabbisogno nazionale. Sebbene non si possa negare che anche tra i nostri industriali non sia mancato chi ha fatto fortuna muovendo le leve della politica e della corruzione, non si può né si deve fare di “tutta l’erba un fascio”. La stragrande maggioranza dei nostri industriali, specialmente i proprietari dei laboratori artigianali a conduzione familiare e delle piccole e medie industrie, hanno costruito il proprio patrimonio con onestà e tanto lavoro.

Oggi il Paese dipende in un 95 per cento dalla vendita del petrolio. Delle 12mila 700 industrie che esistevano prima dell’avvento del “chavismo” ne sono rimaste appena 4000 e tutte lavorano al 35 per cento della propria capacità produttiva. Molte aziende costruite con tanto sforzo dai nostri connazionali non hanno ancora abbassato definitivamente la saracinesca per l’orgoglio e la testardaggine di chi le ha fondate. Sono dati di Fedecàmaras, la Confindustria venezuelana, e di Conindustria, l’organismo che riunisce gli industriali del paese. Statistiche ufficiali non esistono e, se esistono, il governo del presidente Maduro non le rende note.
Tanti connazionali hanno chiuso le proprie attività, una volta fiorenti, a causa delle politiche populiste del governo. Impossibile sopravvivere sul mercato quando è il proprio Stato a fare concorrenza importando prodotti dall’estero, di manifattura anche dubbia e forse anche senza controlli di qualità, e rivendendoli a prezzi politici.
L’integrazione nel tessuto sociale del Paese si nota ancor di più nelle manifestazioni che oggi sconvolgono la quotidianità dei venezuelani. Vittime della violenza, con cui in questi giorni si reprimono le manifestazioni pacifiche, sono anche molti giovani italo-venezuelani. Ad esempio, Gruseny Antonio Canelòn Scirpatempo, di 32anni, un italo-venezuelano che era in procinto di iniziare l’iter burocratico per ottenere la nazionalità italiana, è morto a causa dei pallettoni di gomma sparati a bruciapelo, sembra da un militare della Guardia Nazionale. Sono state 30 ore di agonia e di lotta contro la morte. E’ una delle oltre 45 vittime della violenza. Paolo Emilio Guarente De Rossi, di 23 anni, in possesso della nazionalità italiana oltre che di quella venezuelana, è stato arrestato, con l’accusa di aver partecipato alle proteste ed è stato rilasciato dopo giorni e giorni di detenzione ingiusta. Insomma, gli italo-venezuelani vivono e soffrono la realtà del paese come un qualunque altro cittadino venezuelano. Non c’è alcuna differenza.

Nella seconda metà del secolo scorso, il Venezuela è stato un paese che ha accolto tantissimi emigranti provenienti dall’Europa e dall’America latina. Oggi la crisi economica e istituzionale ha creato e alimentato uno strano fenomeno: l’emigrazione di giovani e meno giovani che cercano all’estero una vita migliore. In Venezuela, oggi, per loro non c’è avvenire.

Anche le nuove generazioni di italo-venezuelani cercano altrove un futuro migliore; quel futuro che il Paese aveva offerto ai nonni e ai genitori: tranquillità, lavoro e la possibilità di guardare al futuro con ottimismo.
Non ci sono statistiche ufficiali ma il sociologo Tomás Páez ha creato un Osservatorio dei Venezuelani all’Estero nel quale ha raccolto migliaia di dati tra le comunità sempre più numerose che vivono in Europa, Stati Uniti ed Australia. Sebbene sia un fenomeno relativamente nuovo, che ha preso particolare forza negli ultimi anni, è in netta crescita. Prima partivano i giovani della classe media con un livello di studi elevato, ora partono anche adulti e anziani di ogni classe sociale. La nostra comunità è stata sempre particolarmente fortunata. La seconda generazione si è formata nelle migliori università italiane e americane nelle quali ha seguito corsi di post laurea o dottorati per poi tornare in Venezuela e contribuire alla sua crescita culturale, economica e sociale. Non è più così. Oggi i giovani si recano all’estero non solo per frequentare corsi di specializzazione nelle Università ma anche per lavorare, vivere e costruirsi una vita diversa.

Una ondata massiccia di ritorno delle nuove generazioni in Italia, come accadde negli anni della crisi argentina? Certi timori, nel caso degli italo-venezuelani, non dovrebbero esistere. Grazie alla loro preparazione universitaria e alla loro formazione intellettuale e professionale, i nostri giovani sono “merce pregiata” in vari paesi tra cui Spagna, Inghilterra, Germania, Stati Uniti, e America Latina. Sono apprezzate la loro serietà, la formazione professionale e la capacità nel lavoro. Il Venezuela si sta dissanguando di un capitale umano costituito soprattutto da eccellenze, tra loro i nostri figli, che comunque l’Italia non riesce ad apprezzare o quanto meno non nella stessa misura di altre nazioni.

La realtà del Paese oggi è ben nota al mondo politico italiano. Lo stesso ministro degli Esteri, Angelino Alfano, in una recente informativa al Senato, ha riconosciuto che “presso la comunità internazionale è ormai maturata la convinzione che in Venezuela i rischi di una potenziale guerra civile sono concreti”. Il ministro ha anche assicurato che “il governo sta lavorando affinché le aziende italiane in Venezuela recuperino i 3miliardi di crediti che vantano”.

Il ministro degli Affari Esteri, Angelino Alfano.

Quindi, ha sostenuto energicamente che “la violenza non è la soluzione” e sottolineato che “la manifestazione del dissenso è un diritto inalienabile dei cittadini”. Non è mancata la preoccupazione per le modalità con cui a Caracas, e nella provincia, si reprimono le manifestazioni di piazza delle opposizioni.

Il senatore Casini accompagnato dal nostro Ambasciatore, Silvio Mignano, e dal presidente del Civ-Caracas, Carlos Villino

L’intervento del ministro è stato apprezzato e applaudito dal mondo politico italiano con poche, pochissime eccezioni – leggasi, Movimento 5 Stelle -. Il Senatore Pier Ferdinando Casini, che conosce la situazione venezuelana perché ha incontrato personalmente la nostra collettività in occasione di un suo viaggio in Venezuela, ha indicato che la linea del ministro degli Esteri debba essere quella di tutto il Parlamento. Nel suo intervento al Senato, dopo l’informativa del ministro, il sen Casini non ha mancato di elogiare l’operato delle nostre autorità diplomatiche sottolineando il lavoro che svolgono l’ambasciatore Silvio Mignano e i suoi collaboratori e sottolineando una realtà che è comune a tutta la nostra Collettività e anche, è doveroso dirlo, a tutti coloro che vivono nel paese: “già recarsi al lavoro è una impresa e molti preferiscono rimanere negli uffici dalla fine della giornata di lavoro fino all’inizio del giorno dopo per evitare l’incognita del rientro a casa e del ritorno in ufficio”. Anche l’On. Fabio Porta, che in Venezuela è di casa, è intervenuto per precisare che “l’Italia c’è e sempre più deve assumere una posizione di prima linea sul Venezuela; forse siamo noi l’ultima chance per dare una soluzione pacifica e democratica ad una crisi che al momento appare senza vie d’uscita”.

Ed è vero. In questo momento, alla luce della grande frattura esistente nel mondo politico, non pare che ci siano le condizioni per un dialogo tra governo e opposizione e, purtroppo, neanche per una mediazione internazionale. La soluzione alla crisi politica e istituzionale del Paese, che ha riflessi severi sulla vita di ognuno di noi, pare quindi ancora lontana.
Mauro Bafile

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