We should probably burn things

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di Anna Mei

MADRID.- Venerdì sera, a tarda ora, parlando con dell3 ragazz3 di passaggio a Madrid. Loro non binari3, britannich3, in giro con un van. Respiro.
Mi dicono che hanno sentito accoglienza senza giudizio in Spagna, mentre in Francia avevano tutti gli occhi addosso.

𝘎𝘪𝘶𝘴𝘵𝘰 𝘥𝘶𝘦 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘪 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢 𝘩𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘳𝘢𝘵𝘰𝘋𝘺𝘴𝘱𝘩𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘔𝘶𝘯𝘥𝘪𝘥𝘪 𝘗𝘳𝘦𝘤𝘪𝘢𝘥𝘰. 𝘖𝘨𝘨𝘪, 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘢𝘵𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘷𝘪𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘪𝘵à 𝘵𝘳𝘢𝘯𝘴, 𝘢𝘴𝘤𝘰𝘭𝘵𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘮𝘢𝘪 𝘪𝘭 𝘴𝘶𝘴𝘴𝘶𝘭𝘵𝘰 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘤𝘰𝘳𝘱𝘰 𝘥𝘪𝘴𝘧𝘰𝘳𝘪𝘤𝘰 𝘶𝘯𝘪𝘷𝘦𝘳𝘴𝘢𝘭𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘪𝘢𝘮𝘰.

Parliamo di attivismo, di pacifismo.
Dico che in tutti i paesi, le persone si sono posizionate e manifestate per la pace, contro ogni brutalità.
La cittadinanza sa da che parte stare, ma la politica non ascolta perché ci sono troppi interessi di mezzo: troppi soldi, moltissimo potere, sempre meno risorse.

Le istituzioni, che dovrebbero accompagnarci e tutelarci, finiscono per fare la guerra – ancora – all3 propri3 cittadin3.
L3 arrestano per un po’ di vernice lavabile, per stare sedut3 in una piazza, per bloccare una strada, per contestare un rettore o un ministro. Una distopia.

Il dissenso è represso perché la realtà di quello di cui ci stiamo rendendo complici è troppo vergognosa da guardare e riconoscere. Perché c’è terrore nel dire che è cominciato il declino di un sistema – 𝘱𝘦𝘵𝘳𝘰𝘴𝘦𝘹𝘰𝘳𝘳𝘢𝘤𝘪𝘢𝘭, 𝘥𝘪𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘗𝘳𝘦𝘤𝘪𝘢𝘥𝘰 – in cui siamo tutt3 invischiat3, e da cui i grandi poteri maschi – 𝘣𝘦𝘭𝘭𝘶𝘪𝘯𝘪, 𝘥𝘪𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘔𝘶𝘳𝘨𝘪𝘢 – nonostante tutto, non vogliono rescindere.

Se la politica non opterà per delle rotte trasformatrici globali, ci saranno sempre più pover3 e più guerre. Più brutalità. Più fame. Più disumanizzazione e anestetizzazione cibernetica.

𝘓𝘰 𝘥𝘪𝘤𝘦 𝘤𝘰𝘴ì 𝘣𝘦𝘯𝘦, 𝘗𝘳𝘦𝘤𝘪𝘢𝘥𝘰.

Un venerdì santo, a notte fonda, con quest3 ragazz3 di passaggio a Madrid, ci siamo salutat3 con un abbraccio, scambiandoci un “we should probably burn things”.

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