Daniele presiede il primo Collegio di Antropologia Fisica e Forense della Spagna e nell’Università di Granada sta lavorando su una linea di ricerca molto innovativa per stabilire l’esatta provenienza geografica di una salma. Ha costituito una commissione per contribuire a dare un nome ai morti ancora privi di identificazione del naufragio di Utopia e collaborare così con il progetto che portano avanti il Comites di Madrid e il consigliere CGIE Pietro Mariani.
di Mariza Bafile
MADRID.- Di carattere schivo e poco amante dei riflettori, Yves Daniele, antropologo fisico e forense, trascorre le sue giornate in un laboratorio, nelle aule e biblioteche universitarie e nei luoghi in cui lo chiamano per identificare un cadavere e, qualche volta, per aiutare a trovarne l’assassino. Ma, soprattutto, per restituirgli un nome, un passato, le persone care.
È proprio questo il motivo per cui ha scelto una professione che lo obbliga a dialogare con i morti per aiutarli a ritrovare la dignità che gli è stata strappata via da una morte violenta o da una disgrazia in mare o in terra mentre cercavano di inseguire un sogno.
Con serietà e dedicazione ammirevoli Yves Daniele ha trasformato una professione in missione.
Fin da molto giovane si è immerso nei libri con l’ansia di chi non si accontenta del mondo che vediamo tutti ma che vuole scavare e cercare quella traccia, invisibile ad altri, che nel parlarci del passato ci spiega il presente. Ha accumulato lauree e specializzazioni.
La prima scelta è stata quella di studiare Archeologia con specializzazione in Archeologia classica e specialistica e poi in Disegno e Rilievo dei reperti.
Sognava le grandi missioni alla ricerca di mondi perduti ma la realtà si è subito mostrata molto diversa. “Oggi gli archeologi vengono chiamati solo quando bisogna costruire una strada, un palazzo ed è necessario capire se nel sottosuolo si nascondono resti antichi. Ben altre erano le ragioni che mi avevano indotto a scegliere quella facoltà. Intanto per una serie di eventi concatenati ho capito che, quando in ambito forense si incontrano resti umani sia di un omicidio recentemente avvenuto sia nelle fosse comuni di molti anni fa, tutte le operazioni relative all’investigazione sul campo vedono esattamente l’applicazione della scienza archeologica”.
Da lì la decisione di abbandonare gli studi di biochimica già iniziati e dopo un periodo di lavoro in Germania, durante il quale ha viaggiato in vari paesi dell’America Latina, di ottenere il Master in Antropologia Fisica e Forense nell’Università di Granada.
“Questo laboratorio nel ranking di Shangai è il primo in Europa e il settimo a livello internazionale. Abbiamo 400-500 metri di scaffalature con resti umani per realizzare i nostri studi che vanno dalla ricerca delle malattie di fine Ottocento all’individuazione della causa di morte e delle eventuali torture subite dai cadaveri accatastati nelle fosse comuni. In Spagna ne hanno aperte più di 2200. Tantissimi ricercatori vengono a studiare qui da paesi diversi. La Spagna punta molto sulla ricerca e cerca così di attrarre cervelli da ogni parte del mondo.”
Nell’Università di Granada ha presentato una linea di ricerca molto ambiziosa che implica la conoscenza di diverse discipline dall’embriologia, (i denti si formano tra la quarta e la quattordicesima settimana di gestazione), all’anatomia, all’istologia, alla chimica, alla fisica, all’odontologia.
“L’obiettivo della ricerca è quello di riuscire ad individuare esattamente il luogo di provenienza di una salma attraverso lo studio dell’anatomia dentale. In questo momento abbiamo la possibilità di stabilirne unicamente la discendenza e cioè se è caucasico, europeo, amerindo. Quando ho proposto la ricerca e ho spiegato che avrei voluto lavorare su una linea innovatrice, mi hanno dato tre mesi per preparare una presentazione da fare davanti ad una commissione composta da specialisti nei diversi campi inerenti allo studio. L’ho fatto e l’hanno accettata. Ci sto lavorando ormai da tre anni e anche se, come sempre accade in questi casi, l’esito non sia prevedibile, sono ottimista”.
Essendo praticamente l’unico del suo Master ad aver scelto di lavorare sull’anatomia dentale, l’Università ha dato ad Yves un laboratorio solo per lui che ha chiamato Laboratorio di Antropologia Fisica e Forense Anatomia Dentale Odontologia. In quello spazio, attorniato da tutti i tipi di denti che si possano immaginare, trascorre la maggior parte del suo tempo.
“I denti -ci spiega- sono uno dei tre elementi fondamentali per l’identificazione di una persona insieme alle impronte e alla genetica. A volte se il cadavere è stato molto tempo nel fondo del mare o è rimasto bruciato diventa difficile lavorare con gli altri elementi. Il dente come tale è una traccia che non si perde ed è quello che ti permette di individuare anche la discendenza del cadavere che, con il mio studio, spero di rendere molto più precisa. Certo, non mancano le difficoltà. Ci sono fosse comuni in cui i corpi dei bambini sono mescolati con quelli degli adulti. In questo caso puoi trovare più denti di quelli che dovresti in base ai cadaveri perché i bambini hanno sia quelli di latte che quelli incassati nella mandibola. Tocca all’antropologo specialista determinare se appartengono allo stesso scheletro o ad un’altra vittima.”
Yves Daniele oltre a svolgere il suo lavoro di ricerca è Mentore per studenti di Master in Antropologia Fisica e Scienze Forensi dell’Università di Granada; esperto in identificazione umana forense mediante analisi di anatomia dentale e odontologia; Perito Giudiziale Forense per la Spagna; Esperto in Redazione della relazione periziale forense.
Come se ciò non bastasse ha svolto anche diversi corsi specialistici: sulla redazione di articoli scientifici; sul modello animale per lo studio delle malattie; sul processamento ed analisi molecolare dei campioni in biomedicina. È anche Presidente dell’unico Collegio di Antropologia Fisica e Forense della Spagna.
Se non l’avessimo conosciuto penseremmo di avere a che fare con un signore dai capelli bianchi. E invece Yves ha solo 45 anni e si è appena iscritto anche alla facoltà di odontologia essendo quello l’ambito in cui si muove la sua ricerca. Una laurea che, secondo quanto ci spiega con un pizzico di amarezza, risponde soprattutto ad una necessità burocratica dal momento che in sua assenza, e nonostante le sue conoscenze, non avrebbe la possibilità di opinare in un giudizio come antropologo forense.
Abituati a conoscere soprattutto la figura del medico forense chiediamo a Daniele di spiegarci quale sia il ruolo dell’antropologo soprattutto nei casi di morti recenti.
“Il medico e l’antropologo forensi spesso lavorano insieme per stabilire la discendenza dei cadaveri e anche, in determinate situazioni, per capire le cause della morte attraverso lo studio dello stadio e del tipo di decomposizione dello scheletro. Se poi troviamo una fossa in cui si sono mescolate le ossa di vari cadaveri, l’antropologo forense è il solo ad essere in grado di ricostruire i vari scheletri, di capire quali appartengono a uomini e donne adulti, a bambini o ad animali. E anche a individuare possibili torture alle quali quelle persone sono state sottoposte prima di morire. Per esempio, nella zona della Galizia il professor Paco Etxeberria, uno dei più insigni antropologi forensi di Spagna, ha trovato delle gole carsiche simili a quelle in cui è avvenuto l’eccidio delle fosse Ardeatine. E lì ha individuato i cadaveri di decine di vittime del franchismo che, prima di esservi gettate, furono legate una all’altra causando un effetto a catena che per alcuni, i più fortunati, ha portato ad una morte immediata, per gli altri invece l’agonia è stata lenta e dolorosissima”.
Restare impassibili di fronte alla morte violenta è senz’altro molto duro, soprattutto quando si lavora con i resti di bambini, ma Yves Daniele non esita quando ci dice:
“In questo tipo di lavoro non puoi e non devi lasciarti coinvolgere emotivamente perché potresti mettere a rischio l’intera indagine. I nostri alunni di Master devono trascorrere una settimana con la Guardia Civil che ricostruisce per loro alcune delle scene del crimine più macabre proprio per metterli alla prova. Se senti che non puoi evitare un coinvolgimento emotivo devi dirlo e lasciare che siano altri a proseguire il lavoro. In caso contrario potresti alterare la tua capacità di giudizio e di analisi. Ne va della nostra etica”.
Parlando della sua professione Yves aggiunge: “La nostra responsabilità come antropologi forensi è molto grande ed è ciò che ripeto costantemente ai miei alunni. Un errore nelle nostre valutazioni può significare la galera per un innocente o al contrario la libertà per un assassino. Fu proprio grazie ad una perizia del prof. Etxeberría che fu possibile capire che dei resti carbonizzati non appartenevano ad animali, come cercava di far apparire l’omicida José Bretón, ma a due bambini. Erano i suoi figli. Quell’uomo che li aveva uccisi e poi ne aveva bruciato i corpi ad altissime temperature per evitarne il riconoscimento, era stato considerato innocente e se non fosse per l’antropologo sarebbe ancora libero. Purtroppo –prosegue dopo una pausa– ogni volta che ci imbattiamo con fatti di questo genere ci rendiamo conto di quanto possa essere profonda la ferocia umana. Il minimo che possiamo fare è cercare di rendere giustizia alle vittime e nei casi in cui non hanno un’identità, lavorare affinché possano avere una sepoltura degna e che i loro familiari abbiano la possibilità di piangerli su una tomba-.
La ritualità che accompagna la morte di una persona cara è da sempre al centro delle tradizioni di ogni popolazione dalle più primitive alle più evolute. Una delle grandi tragedie degli omicidi di massa è proprio quella di non poter elaborare il lutto attraverso questi riti. Negli ultimi anni alle vittime delle guerre e a quelli causati dagli scontri con gruppi armati e narcotraffico soprattutto in America Latina, si aggiungono quasi quotidianamente quelli di chi muore nelle rotte che in tanti battono nella speranza di raggiungere luoghi in cui poter vivere e lavorare senza il fantasma del terrore della violenza e della fame. Molti finiscono in mare, e sono quelli di cui abbiamo notizia, molti altri al mare non riescono neanche ad arrivarci.
Scompaiono. Quando i cadaveri non vengono identificati, le famiglie devono affrontare dolore e speranza in una mescolanza di sentimenti che rende praticamente impossibile l’elaborazione del lutto.
“Alla base della mia ricerca -dice Yves Daniele- c’è proprio il desiderio di restituire un nome a quei disperati che fuggono da situazioni tanto drammatiche da essere disposti ad affrontare la morte. C’è chi emigra con un passaporto e quindi in forma legale e tranquilla. Ma ci sono tantissimi altri che conoscono a priori i pericoli che incontreranno nel loro cammino, sanno che le possibilità che siano uccisi o catturati, torturati, venduti come schiavi, inseriti nel mercato della prostituzione e per i bambini anche in quello della vendita di organi, sono altissime così come sono alte le possibilità di morire in mare. Atrocità che non accadono solo in Africa ma anche, secondo i dati della Croce Rossa e delle Nazioni Unite, nel confine con la Turchia, in alcuni paesi dell’Est, in Siria, in Messico, in Colombia, in Venezuela e altri paesi Centro e Sudamericani. Solo chi è realmente disperato può affrontare tanti rischi per andare via dal proprio paese-.
È questa una delle ragioni che lo hanno coinvolto nel progetto Utopia che portano avanti il consigliere del CGIE Pietro Mariani e il Comites di Madrid.
“Quella del piroscafo Utopia è stata una delle grandi tragedie della nostra comunità. Quando il presidente del Comites di Madrid Andrea Lazzari e il Consigliere del CGIE Pietro Mariani mi hanno chiesto di aiutarli ad individuare i nomi delle salme ancora sconosciute, mi è sembrato un progetto importante che mi coinvolge molto anche per il mio essere italiano. Come Presidente del Collegio di Antropologia Fisica e Forense ho chiesto la collaborazione dei colleghi che hanno aderito con entusiasmo e quindi metteremo a disposizione le nostre specificità e le strutture di cui disponiamo per restituire un nome anche a quelle salme. Molto dipenderà dalla quantità e qualità dei resti ma speriamo che siano tali da permetterci di lavorare. Il laboratorio dell’Università di Granada ha anche brevettato un sistema per identificare le persone attraverso la sovrapposizione di un’immagine cranio-facciale. È un procedimento molto complesso ma con l’aiuto di una fotografia si possono prendere delle misure morfo metriche e con una strumentazione 3D capire se il cranio appartiene effettivamente alla persona della foto”.
Yves Daniele è anche Presidente del Collegio di Antropologia Fisica e Forense della Spagna. Gli chiediamo cosa comporti questo incarico.
“È la prima volta che in Spagna si costituisce un Collegio di Antropologia Fisica e Forense e quando mi hanno chiesto di presiederlo mi sono sentito molto gratificato, come antropologo e come italiano dal momento che sono l’unico italiano che ne fa parte.
Ci ripromettiamo di proporre alcune riforme legislative affinché, ogni qual volta lo richiedano le nostre conoscenze, sia permesso anche a noi di opinare in forma indipendente in un’aula di tribunale e non come appendici del medico forense -.
Ma, gli chiediamo, in questa vita tanto intensamente dedita al lavoro e allo studio, riuscirà a ritagliare qualche momento anche per attività più rilassanti come, per esempio, la lettura o la musica?
La risposta arriva con un sorriso:
“Mi piacciono tantissimo la musica classica ed anche il jazz, che ascolto anche quando sono in laboratorio. Ogni volta che c’è un concerto a Granada mi organizzo per andarci. In quanto alle letture –ride– spero che non mi consideri pazzo! Sono appassionato di fisica quantica e di astronomia.–
Non ne sono affatto sorpresa. Sono due discipline che fanno sognare e soprattutto ci inducono a scoprire mondi sconosciuti, invisibili agli occhi dei più. Gli ingredienti giusti per stimolare la curiosità di una mente come quella di Yves Daniele.