Bankitalia: debito record, stima Pil del 2024 tagliata a 0,6%

Sede principale della Banca d'Italia nel Palazzo Koch a Roma. (ANSA)

MADRID. – A ottobre il debito delle amministrazioni pubbliche italiane è aumentato di 23,5 miliardi  rispetto al mese precedente, raggiungendo il nuovo record di 2.867,7 miliardi di euro. E’ quanto comunica la Banca d’Italia, che inoltre oggi ha presentato le proiezioni macroeconomiche per l’Italia nel quadriennio 2023-26 elaborate dagli esperti di Via Nazionale   nell’ambito dell’esercizio coordinato dell’Eurosistema. 

“Il quadro macroeconomico – si legge in una nota – risente dell’irrigidimento delle condizioni monetarie e creditizie per imprese e famiglie conseguente al forte rialzo dei tassi di interesse di politica monetaria. Lo scenario incorpora gli effetti della manovra di bilancio per il 2024-26 e l’utilizzo dei fondi europei nell’ambito del programma Next Generation EU, sulla base delle informazioni più aggiornate relative al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).  

Dopo il leggero aumento nei mesi estivi, le informazioni congiunturali più recenti segnalano che il Pil avrebbe ristagnato nel trimestre in corso. Il prodotto tornerebbe a espandersi gradualmente dall’inizio del prossimo anno, sostenuto dalla ripresa del reddito disponibile e della domanda estera. In media d’anno il Pil aumenterebbe dello 0,7 per cento nel 2023, dello 0,6 nel 2024 e dell’1,1 nel 2025 e nel 2026”.  

Rispetto alle proiezioni pubblicate in ottobre – sottolinea Bankitalia – la crescita del Pil è rivista al ribasso nel 2024, in linea con i segnali di una più prolungata debolezza congiunturale, e al rialzo nel 2025, principalmente per effetto delle ipotesi desunte dai mercati finanziari di tassi di interesse lievemente più contenuti lungo l’orizzonte di previsione.  

I consumi delle famiglie si espanderebbero a tassi lievemente superiori a quelli del Pil nel corso del prossimo triennio, beneficiando del recupero del potere d’acquisto delle famiglie. Gli investimenti rallenterebbero marcatamente, frenati nel settore privato dal rialzo dei costi di finanziamento, da condizioni più rigide di accesso al credito e dall’esaurirsi degli effetti legati agli incentivi al settore edilizio; per contro, aumenterebbe l’impulso derivante dagli interventi del Pnrr. Le esportazioni si espanderebbero in linea con l’andamento della domanda estera. 

Le importazioni crescerebbero in misura lievemente inferiore, per via della debolezza della spesa per investimenti in beni strumentali, caratterizzati da un elevato contenuto di prodotti importati. L’occupazione, in forte aumento nel 2023, continuerebbe a crescere, sebbene a ritmi pari a circa la metà di quelli del prodotto. Il tasso di disoccupazione scenderebbe lentamente portandosi poco sotto il 7,5 per cento nel 2026. 

L’inflazione al consumo – rilevano gli esperti di Via Nazionale – sarebbe pari al 6 per cento nella media di quest’anno e diminuirebbe nettamente in seguito, collocandosi in media sotto al 2 per cento per tutto il prossimo triennio. La discesa rifletterebbe principalmente il netto ridimensionamento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti intermedi, solo in parte compensato dall’accelerazione delle retribuzioni (previste in aumento di circa il 3,5 per cento all’anno in media nel triennio 2024-26). 

L’inflazione di fondo si ridurrebbe più lentamente, coerentemente con una trasmissione graduale dei minori costi degli input intermedi ai prezzi finali.  Rispetto alle previsioni pubblicate in ottobre, l’inflazione al consumo è stata rivista al ribasso in tutto il triennio 2023-25 e in misura particolarmente marcata nel 2024, per 0,5 punti percentuali, riflettendo una più rapida discesa dei corsi energetici e un più forte rallentamento della componente di fondo evidenziato dagli ultimi dati. 

“Queste proiezioni – sottolinea Bankitalia – sono circondate da un’incertezza elevata, con rischi per la crescita orientati prevalentemente al ribasso. Il contesto geo-politico rimane uno dei principali fattori di instabilità, da cui possono scaturire nuovi rincari delle materie prime e un deterioramento della fiducia di famiglie, imprese e investitori. Rischi non trascurabili sono anche connessi con l’evoluzione dell’attività economica globale, che potrebbe risentire in misura maggiore delle difficoltà dell’economia cinese e dell’incertezza legata alle tensioni internazionali. Il prodotto potrebbe inoltre essere frenato da un più forte peggioramento delle condizioni di finanziamento, anche in connessione con una maggiore rischiosità dei prenditori. I rischi per l’inflazione sono più bilanciati. Pressioni al rialzo potrebbero provenire da nuovi aumenti dei prezzi delle materie prime. 

Per contro – conclude la nota –  la possibilità di un deterioramento dello scenario internazionale e di un impatto più marcato della restrizione monetaria rispetto a quanto stimato nello scenario di base potrebbero tradursi in un andamento più contenuto di salari, margini di profitto e inflazione al consumo”.

(Redazione/9colonne)

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