Gaza, volontaria italiana: “Aspettiamo indicazioni per recarci a Rafah, ma situazione si complica”

Foto di hosny salah da Pixabay

MADRID. – “I bombardamenti continuano giorno e notte, qui nella Striscia di Gaza c’è una completa distruzione delle case, delle vite delle persone. Il ministero della Salute ha mandato una lunga lista di di necessità, tra cui appunto farmaci, medicinali, attrezzature per poter curare. E denunciano il fatto che gli aiuti umanitari che sono entrati purtroppo non solo sono insufficienti, ma Israele impedisce di farli arrivare a nord della Striscia di Gaza e a Gaza City, quindi negli ospedali che ancora stanno funzionando”. 

Giuditta Brattini, veronese, volontaria di Gazzelle Onlus, è una degli italiani bloccati a Gaza dall’inizio dell’assedio dopo gli attentati di Hamas del 7 ottobre. E dalla Striscia spiega che ormai ci sono “12 ospedali che sono stati resi inagibili per bombardamenti o per parziali distruzioni e più di 30 centri di servizi sanitari che sono anche questi inagibili, sia per i bombardamenti che hanno subito, ma anche per la mancanza di medicinali e soprattutto di gasolio che serve per far funzionare la struttura”. 

Il ministero della Salute palestinese, spiega Giuditta Brattini, “denuncia questo collasso delle strutture sanitarie e contemporaneamente però scrive che le porte degli ospedali sono aperte, avvisando però che questo non significa che siano in grado di poter prendere in cura i feriti”.  Una dichiarazione, spiega la volontaria, che “dà il senso della pesantezza e anche della forte responsabilità che gli operatori sanitari di qui sentono”. 

Servono anche medici specializzati che arrivino anche dall’esterno “e il ministero della salute in questo senso ha fatto una richiesta specifica, evidenziando ancora una volta la tipologia delle ferite con le quali si trovano a dover lavorare e curare, in particolare delle bruciature molto molto profonde e difficili da trattare”. Ferite compatibili, secondo Brattini, “come detto e denunciato anche da Amnesty International, con l’utilizzo del fosforo bianco”.  

Al momento un milione 400mila persone hanno dovuto abbandonare le loro case, quindi evacuare, circa 600mila hanno trovato riparo nelle scuole dell’Unrwa, una parte nelle scuole del governo o presso parenti o familiari. Ovviamente questo sovraffollamento nei centri urbani porta un grande rischio di di epidemie: sono già numerosi i casi di diarrea, di intossicazione alimentare, di scabbia, e soprattutto di di infezioni bronchiali, quindi la situazione sta sotto l’aspetto igienico sanitario sta pesantemente aggravandosi”. 

La richiesta che viene fatta dalle associazioni “è quella di far entrare al più presto tutti i convogli umanitari e di poter distribuire sia i medicinali che i generi alimentari in tutta la Striscia di Gaza e non voler solo strangolare il nord della Striscia di Gaza”.  

Per quanto riguarda la situazione delle persone straniere o con doppio passaporto intrappolate a Gaza, la volontaria di Gazzelle spiega che “siamo sempre in attesa di avere un’idea, un’indicazione di quando potremmo muoverci verso Rafah per passare il confine, ma la cosa sembra complicarsi sempre più. Vale la pena ricordare che tra l’altro che al valico si trovano già centinaia di persone che sono in attesa di di poter uscire per andare in Egitto da parenti e cercare di sopravvivere. 

Ci sono parecchie ambulanze che avrebbero la necessità di trasferire molti feriti in Egitto per le cure. E però qui di giornalisti, di reporter, fotografi ancora non si vede nessuno: ci dicono che sono al al border di Rafah, in attesa del permesso di di ingresso da parte di di Israele. Io credo che sarebbe cosa giusta che l’ordine dei giornalisti facesse pressione affinché l’informazione possa in qualche maniera circolare”.   

(Redazione/9colonne)

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