MADRID. – L’insieme dei pagamenti delle pensioni all’estero – a gennaio 2022 oltre 317.000 – includono non solo quelli riferiti alle prestazioni in regime di totalizzazione internazionale, ma anche a quelle liquidate sulla base di sola contribuzione italiana. Complessivamente questo aggregato rappresenta il 2,3% del totale delle pensioni erogate dall’Istituto e si distribuisce su circa 160 Paesi.
I dati emergono dal convegno “Italia delle partenze e di ritorni – i pensionati migranti di ieri e di oggi”, promosso da Inps e Fondazione Migrantes oggi a Roma. Ad approfondire il tema delle pensioni pagate all’estero è Vito La Monica, Direttore centrale Pensioni Inps. Con riferimento al trend quinquennale, si registra un decremento di oltre il 6%, dovuto essenzialmente alla riduzione dei pagamenti pensionistici in Aree continentali di “antica migrazione”, quali: Nord e sud America e Oceania. Ma nelle altre Aree il trend è costantemente in crescita.
Da un punto di vista tendenziale, i dati interessanti sono quelli che riguardano l’incremento del numero dei pagamenti di pensioni in Europa (+4,3%), e la forte crescita di quelle pagate in America centrale, in Asia e in Africa (rispettivamente + 38,9%, + 34,9% e +30,3%).
Oggi l’Inps sta provvedendo a liquidare soprattutto le pensioni della generazione di coloro che sono emigrati dopo il secondo dopoguerra. Molte di queste sono diventate pensioni di reversibilità, destinate a ridursi nel tempo, come, ad esempio avviene soprattutto per quelle destinate in America meridionale, dove le pensioni di vecchiaia rappresentano solo il 37% e quelle ai superstiti sono oltre il 60%, con un’età media molto elevata.
Pertanto, nei Paesi che, in passato, hanno rappresentato le mete di milioni di italiani, le comunità di pensionati connazionali registrano un trend in forte decremento, mentre è iniziata la liquidazione di pensioni di “nuova generazione” in nuove località.
La mobilità previdenziale
La mobilità italiana in piena crescita che non riguarda solo la fuga di cervelli e, quindi, la fascia più giovane di popolazione: infatti, ad attirare l’attenzione della Fondazione Migrantes, in collaborazione con l’INPS, è stata la cosiddetta mobilità previdenziale, ovvero i pensionati italiani che scelgono di abbandonare il Paese dopo una vita passata in Italia.
Questo tipo di emigrazione, come spiegato da Delfina Licata, sociologa di Migrantes, “viene monitorata annualmente e vede una costante crescita, soprattutto dopo la crisi pandemica. Gli italiani all’estero over 65, ha sono oltre 1,2 milioni, circa il 21,1% della mobilità italiana, con quasi 285mila migranti di oltre 85 anni e circa 398mila tra 75 e 84 anni”. “L’emergenza sanitaria ha bloccato la mobilità previdenziale – ha chiosato la sociologa – ma le partenze degli anziani restano in crescita. Una mobilità che punta al continente americano (51,8%) e poi europeo (43%) e ha origine dal meridione (52,2).
Le maggiori comunità sono in Argentina, Brasile, Germania, Svizzera e Francia e sono popolate da italiani provenienti da Sicilia, Campania, Calabria, Lazio e Veneto”. Si tratta di “una tendenza importante di cui dobbiamo essere consapevoli – ha aggiunto Luigi Maria Vignali, Direttore Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie della Farnesina – intanto perché a questi italiani che si trasferiscono in tarda età all’estero dobbiamo dare dei servizi e dobbiamo essere pronti ad assisterli e a tutelarli; poi, dobbiamo creare le condizioni perché queste partenze non avvengano”.
Secondo il direttore della Farnesina “bisogna pensare a delle politiche anche in Italia per tutelare le pensioni minime e per far sì che, per tante ragioni, non si debba andare anche in tarda età all’estero”. Partendo da questo fenomeno ha preso vita uno studio, frutto della collaborazione tra Migrantes e INPS, scaturito nel volume “Il valore del ritorno”, edito da Il Mulino e disponibile a breve.
Armonizzare le regole fiscali
Nel report l’INPS ha rilevato come ogni anno le pensioni pagate all’estero sono circa 33mila e coinvolgono diverse categorie di pensionati: da coloro che si sono trasferiti all’estero per motivi lavorativi e non sono più rientrati nei luoghi di provenienza, a chi decide di raggiungere luoghi più o meno esotici, scegliendo Paesi fiscalmente ed economicamente più vantaggiosi.
Il trend maggiore, come ha sottolineato Susanna Thomas, Direzione centrale Pensioni dell’INPS, “proviene da genitori che raggiungono i figli e le famiglie all’estero”. Per questa categoria di persone si tratta di “un grosso cambiamento socio-culturale – ha detto Thomas -. Se vogliamo limitare, controllare e mettere un freno a questo tipo di emigrazione – ha aggiunto – dobbiamo far rientrare i nostri figli a casa”.
“Non so se l’attuale sistema a ripartizione potrà continuare a reggere perché il numero di pensioni all’estero continuerà a crescere. I migranti previdenziali, inoltre, si muovono alla ricerca di Paesi che fiscalmente li aiutino – ha evidenziato Vito La Monica, Direttore centrale pensioni dell’INPS -. Armonizzare le regole fiscali nel mondo Occidentale è necessario, come pure armonizzare le regole previdenziali e dei requisiti delle pensioni. L’Occidente deve programmare oggi un futuro migliore per i nostri figli e i figli dei migranti”.
Non solo, quindi, contrastare la fuga di cervelli giovani per porre un freno allo spopolamento del territorio italiano, ma allo stesso tempo non bisogna dimenticare l’emigrazione previdenziale, continua lo studio Migrantes-INPS, perché il pensionato che torna nel luogo d’origine, soprattutto in certe realtà territoriali, ha un impatto profondamente positivo, con un progresso che ha effetti sull’intera comunità.
(Redazione/9colonne)