Nobel per la Pace a Narges Mohammadi, attivista per i diritti delle donne iraniane

Narges Mohammadi. (Niklas Elmehed © Nobel Prize Outreach)

MADRID. – Il comitato del premio Nobel per la Pace di Oslo il Comitato norvegese per il Nobel ha assegnato il Premio Nobel per la pace 2023 a Narges Mohammadi per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti. La sua coraggiosa lotta ha comportato enormi costi personali, spiega il Comitato nelle motivazioni: complessivamente, il regime l’ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte e condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate.

La signora Mohammadi è tuttora in prigione. Con Narges Mohammadi, il Comitato ha voluto premiare tutta la protesta della società civile iraniana, divampata dopo che nel settembre 2022 una giovane donna curda iraniana, Mahsa Jina Amini, è stata uccisa mentre era sotto custodia della polizia morale. La sua uccisione ha innescato le più grandi manifestazioni politiche contro il regime teocratico iraniano da quando è salito al potere nel 1979.

Con lo slogan Donna –Vita –Libertà, centinaia di migliaia di iraniani hanno preso parte a proteste pacifiche contro la brutalità e l’oppressione delle donne da parte delle autorità. Il regime ha represso duramente le proteste: oltre 500 manifestanti sono stati uccisi. Migliaia sono rimasti feriti, molti dei quali sono rimasti accecati dai proiettili di gomma sparati dalla polizia.

Almeno 20mila persone sono state arrestate e tenute in custodia dal regime. Proprio in questi giorni, un caso simile di una ragazza sedicenne picchiata e finita in coma probabilmente per il stile occidentale, potrebbe portare a una recrudescenza delle proteste e della repressione.

Una “coraggiosa lotta”

Attivista sin dagli anni ’90, Narges Mohammadi nel 2003 è stata coinvolta nel Centro per i difensori dei diritti umani di Teheran, un’organizzazione fondata dal premio Nobel per la pace Shirin Ebadi. Nel 2011 la signora Mohammadi è stata arrestata per la prima volta e condannata a molti anni di reclusione per i suoi sforzi volti ad assistere gli attivisti incarcerati e le loro famiglie. Due anni dopo, dopo il suo rilascio su cauzione, la signora Mohammadi si è immersa in una campagna contro l’uso della pena di morte.

Con l’ondata di proteste dello scorso anno, Mohammadi ha assunto la guida della rivolta anche dal carcere, esprimendo sostegno ai manifestanti e organizzando azioni di solidarietà tra i suoi compagni detenuti. Le autorità carcerarie hanno risposto imponendo condizioni ancora più severe, che non hanno impedito però alla futura premio Nobel far uscire di nascosto un articolo che il New York Times pubblicò in occasione del primo anniversario dell’uccisione di Mahsa Jina Amini, il cui messaggio era: “Più di noi vengono rinchiusi, più diventiamo forti”.

Assegnandole il Premio Nobel per la pace di quest’anno, il Comitato norvegese per il Nobel “desidera onorare la sua coraggiosa lotta per i diritti umani, la libertà e la democrazia in Iran. Il Premio per la Pace di quest’anno riconosce anche le centinaia di migliaia di persone che, l’anno precedente, hanno manifestato contro le politiche di discriminazione e oppressione del regime teocratico nei confronti delle donne. Solo abbracciando la parità di diritti per tutti il mondo potrà raggiungere la fraternità tra le nazioni che Alfred Nobel cercò di promuovere”.

(Redazione/9colonne)

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