Garante dei detenuti: al 1° giugno 57.230 persone in carcere, 2.504 donne

Attraverso un cancello del carcere detenuti camminando nel corridoio.
Attraverso un cancello del carcere detenuti camminando nel corridoio.

ROMA. – “Nella prima Relazione al Parlamento abbiamo riferito il dato di 54653 persone detenute, presenti al 31 dicembre 2016. Con un aumento nei due anni precedenti, quando il numero complessivo era sceso a un livello inferiore di circa 2000 unità a seguito dei provvedimenti adottati dopo la sentenza pilota della Corte di Strasburgo nel caso Torreggiani e altri versus Italia.

Il dato ha avuto negli anni successivi un’oscillazione, considerando la diminuzione risultante da provvedimenti adottati nel periodo dell’emergenza pandemica e la successiva ripresa di una tendenza al rialzo, quantunque meno importante di quanto si potesse supporre”.

Così il garante per i diritti delle persone detenute, nella sua relazione annuale al Parlamento, Mauro Palma. “Al primo giugno di quest’anno – quindici giorni fa – le persone detenute in carcere sono 57.230; includono 2.504 donne, mentre ne includevano 2.285 sette anni fa. Dati comparabili, sebbene in aumento di più di duemilacinquecento persone detenute: la capienza, già allora carente, è aumentata nell’arco dei sette anni soltanto di mille posti regolamentari.

Due dati indicano mutamenti: la percentuale delle persone straniere in carcere è diminuita dal 34 al 31, 2 percento; particolarmente diminuita – e questo è un dato positivo – è la percentuale di coloro che sono in carcere senza alcuna condanna definitiva, passando dal 35,2 al 26,1 percento nel corso di questi anni”.

Troppi in carcere per condanne brevi

“Resta alto – ed è andato aumentando – il numero di persone ristrette in carcere per scontare condanne molto brevi: 1551 persone sono oggi in carcere per scontare una pena – non un residuo di pena – inferiore a un anno, altre 2785 una pena tra uno e due anni.

È evidente che una struttura complessa quale è quella carceraria non è in grado di predisporre per loro alcun progetto di rieducazione perché il tempo stesso di conoscenza e valutazione iniziale supera a volte la durata della detenzione prevista.

Non solo, ma questi brevi segmenti di tempo recluso sono destinati a ripetersi in una sorta di serialità che vede alternarsi periodi di libertà e periodi di detenzione con un complessivo inasprimento della propria marginalità”, ha proseguito Palma.

Senza finalità rieducativa norme inutili

“La riduzione della finalità rieducativa a mera enunciazione a cui non corrisponde alcuna effettività finisce col proiettare il senso dell’inutilità delle norme, proprio nei confronti di persone che, avendole violate, dovrebbero essere aiutate a comprenderne il valore. Non solo, ma quell’insieme rappresenta quasi plasticamente l’immagine della marginalità sociale che oggi abita il carcere.

L’ordinamento attuale presenta varie possibilità di accesso a misure diverse dalla detenzione per pene così brevi: il non accesso a esse è indicativo di una complessiva povertà. Povertà di supporto sociale, di assistenza legale, spesso di comprensione delle norme stesse; povertà anche materiale perché frequentemente l’assenza di una abitazione o la sua inadeguatezza sono alla base della riluttanza a concedere queste misure a persone che si presentano con tali caratteristiche”, ha detto il garante per i diritti delle persone detenute.

“La loro presenza in carcere, quindi, interroga il nostro tessuto sociale: sono vite connotate da una marginalità che avrebbe dovuto trovare altre risposte, così da diminuire l’esposizione al rischio di commettere reati. Non dobbiamo mai dimenticare che il diritto penale – e ancor più la privazione della libertà – deve avere un ruolo “sussidiario”, intervenendo come misura estrema laddove altre forme di supporto e riduzione dei conflitti e delle difficoltà che abitano la collettività abbiano fallito.

Sono vite che avrebbero dovuto trovare altri supporti nell’istruzione, nel sostegno abitativo, nella possibilità di un reddito in grado di rendere la giustamente proclamata tutela della vita una effettiva tutela della vita dignitosa e non meramente biologica; lo avrebbero dovuto trovare anche nell’intervento di orientamento alla prima deviazione verso forme di criminalità”.

(Redazione/9colonne)

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