Rita Atzeri (“Il Crogiuolo”): “Spettacolo e archeologia per promuovere le radici spirituali sarde”

MADRID – Non solo turismo di massa; fuori dai circuiti tradizionali per i quali l’Italia è sole, mare, spiagge o grandi città rese famose dai loro monumenti, chiese, palazzi, piazze e musei scopriamo molto di più. Il Belpaese è anche borghi, musica, teatro, archeologia e natura. Aspetti meno conosciuti perché meno pubblicizzati dall’industria del turismo. Cultura, archeologia e natura che nascondono sacralità e riti. Mondi antichi e tradizioni che, sovente, sopravvivono a pochi chilometri dai grandi centri urbani ma che passano inosservati.

Per valorizzare e proiettare all’estero l’inestimabile patrimonio archeologico della Sardegna, che riflette il profondo legame dell’isola con la ritualità, con le tradizioni e con la sacralità che si perdono nel tempo, la compagnia teatrale “Il Crogiolo”, grazie in parte ai fondi provenienti dall’Unione Europea, ha organizzato tra Orroli e Villagrande Strisaili un evento che è riuscito a coniugare il “full-immersion” nella cultura sarda millenaria nuragica, che si sviluppò nel corso della tarda età del bronzo e si articola lungo tutta l’isola, con la visita al Museo Omo Axiu, con la presentazione del CD Deinas, con la performance musicale di Carlo Spiga autore insieme a Stellan Velace delle musiche, con la presentazione del libro “Alla Mensa dei Nuraghi”, dell’archeologo Mauro Perra, con lo spettacolo teatrale “Casandra VentiVenti”, interpretato da Rita Atzeri e con un interessante convegno sull’archeologia nuragica titolato “La dea, la madre, la terra: dalla Sardegna al Mediterraneo culti e pratiche rituali magico-religiose”, al quale hanno partecipato esperti, italiani e stranieri, in archeologia sarda.

– Questo percorso – riferisce alla “Voce” Rita Atzeri, anima della Compagnia “Il Crogiolo” – è intrinseco nella natura stessa della compagnia teatrale. “Il Crogiolo” è stato fondato negli anni ’80 da Mario Faticoni, personaggio molto noto in Sardegna. È stato il fondatore di vari gruppi teatrali dai quali, poi, è nato il Teatro Stabile della Sardegna. La nostra compagnia teatrale è sempre stata molto attiva nell’ambito del decentramento culturale: fare teatro in quei luoghi in cui non c’è teatro. Siamo, in un certo senso, gli eredi del clima culturale degli anni ’70. Allora si cercava di interagire con le comunità, di raccontare le loro storie e di restituirgliele, oggettivate, quasi, attraverso il teatro.

– Siete riusciti a coniugare passato e presente…

– Il confronto con la memoria, con la storia locale – commenta – ci porta inevitabilmente a fare i conti anche con il territorio. Da lì è iniziato il percorso d’indagine: lo studio dei miti arcaici, delle leggende, dei racconti più antichi. Siamo partiti da quelli che sono sopravvissuti all’oblio per seguirne le tracce a ritroso. La ricerca ha messo in evidenza l’esistenza di un filo conduttore che lega la storia con i nostri racconti.

Ci dice che a Mamoiada, un comune della provincia di Nuoro abitato in epoca pre-nuragica, nuragica e romana come testimoniano i reperti archeologici, “c’è un bellissimo museo delle maschere”.

Rita Atzeri

– Sono maschere antropomorfe che vogliono ricordare l’animale – spiega -. Gli animali venivano sacrificati tra gennaio e febbraio, un rito propiziatorio, per favorire la buona stagione della primavera. Tutto è legato al ciclo della vita. I racconti, che risalgono all’origine del mondo, al mito orfico della creazione, sono tramandati attraverso la narrazione orale di quelle che abbiamo chiamato “Deine”.

“In Deinas – è scritto nell’opuscolo consegnatoci da Azteri – le nostre moderne indovine, rievocano l’origine geologica della Sardegna insieme a una cosmogonia , un mito della creazione. Comune a tutte le antiche civiltà mediterranee , usando le parole  della scienza  e del mito, mescolandole con parole, canti e strumenti musicali della tradizione sarda in cui primeggiano le Launeddas”.

Deine e Meigas. Le prime, indovine, le altre, curatrici. La tradizione sarda attribuisce loro un forte legame con il mondo dell’occulto, quello delle divinità. Stando a quanto sostiene Atzeri, in Sardegna, tra il rito pagano e la fede cristiana c’è un profondo sincretismo che non pare esista in altre regioni italiane. Lo si riconosce nei canti rituali e nella tradizione popolare.

– In “Deinas” – ci dice – il racconto è affidato alle donne. C’è un personaggio – ci tiene a precisare – che si chiama “s’accabadora”.  Si reclamava la sua presenza quando qualcuno non riusciva a morire. Aveva il compito di propiziare il passaggio dalla vita alla morte. Non era un omicidio… la “s’accabadora” si dedicava semplicemente ad agevolare questo passaggio.

Altre figure caratteristiche del mondo antico, spiega Atzeri, “sono le prefiche: donne pagate per piangere nei funerali”.

– È un pianto che assume un senso quasi catartico – prosegue -. Lo scopo è aiutare, da un lato, la famiglia ad assimilare il lutto; dall’altro, a rendere onore alla vita vissuta dal morto. Nell’antichità c’era questa  sensibilità; c’era la consapevolezza di quanto fosse importante e speciale la vita.

Deine, Meigas, S’accabadora, Prefiche. Tutti personaggi della mitologia che, intrinsechi nel territorio, diventano parte importante della valorizzazione della Sardegna che oggi impegna Atzeri e la compagnia di teatro “Il Crogiolo”.

Il riscatto dell’entroterra

Agli occhi di chi sorvola la penisola, si apre immediatamente un paesaggio dai molteplici colori e una infinità di sfumature: dal marrone dei campi arati al verde delle vaste aree coltivate che assumono un colore intenso quando cedono terreno ai boschi. La somma dei tanti colori della natura, si confonde con quelli che tradiscono la presenza di conglomerati umani:  lunghe cicatrici oscure che uniscono centri urbani piccoli e grandi e nelle quali sfrecciano gli animali metallici costruiti dall’uomo, strade di campagna che conducono da un casolare all’altro, sentieri appena percepibili all’occhio umano transitati dagli amanti della natura.

Invece, dall’alto, quando ci si avvicina alla Sardegna, prima, e quando la si comincia a sorvolare, poi, sorprende il paesaggio inospitale, dominato dal grigiore delle montagne rocciose che contrasta con l’azzurro del cielo che si confonde all’orizzonte con le acque cristalline del Mediterraneo. Un azzurro a volte intenso, a volte dai toni pastello in cui s’intravvede qua e là il bianco cristallino delle onde che s’infrangono in qualche scoglio o contro le pareti rocciose a picco sul mare. Poi, a mano a mano, il paesaggio si trasforma, diventa più verde e meno desolato. Si riconoscono casolari, piccole insenature dalla sabbia argentata, spiagge, paesi, città.

Non è nelle grandi città che si respira il clima mistico della Sardegna, ma nei borghi, nell’entroterra. Ce ne accorgiamo quando abbandoniamo Cagliari, il suo porto e le sue stradine, per recarci a Orroli, prima tappa nell’entroterra sardo, e visitare il “Nuraghe Arrubiu”, il più grande complesso nuraghe della Sardegna. Gli esperti lo fanno risalire a mille, mille 500 anni prima di Cristo. Il suo nome si deve al caratteristico colore rossastro dato dal ferro al basalto, roccia di origine vulcanica con la quale è stato costruito.

Se ad Orroli la visita al complesso “Nuraghe Arrubiu” si è svolta sotto i tiepidi raggi del sole, quella al villaggio-santuario di “s’Arcu è is Forro”,  nella vallata di “riu Pira è Onni” nel territorio di Villagrande Trisaili è stata abbondantemente bagnata da una fredda e costante acquerugiola.

I nuraghi di Orroli e di Villafranca Trisaili si presentano ai nostri occhi in tutta la loro bellezza. Costruiti con blocchi di basalto sovrapposti con precisione impressionante, ci parlano di una civiltà capace di edificare costruzioni di forma troncoconica alte anche 30 metri. Fu un popolo pacifico. Lo asseriscono gli esperti che, durante gli scavi, non hanno trovato armi offensive e, nei resti umani rinvenuti, non hanno osservato segni di ferite riconducibili ad aggressioni, violenze, o guerre. Di nuraghi in Sardegna, ne sono stati rinvenuti, fino ad oggi, circa otto mila. Ma si pensa che ve ne possano essere molti di più.

L’interessante convegno “La dea, la madre, la terra: dalla Sardegna al Mediterraneo culti e pratiche rituali magico-religiose”

Nel corso del convegno “La dea, la madre, la terra: dalla Sardegna al Mediterraneo culti e pratiche rituali magico-religiose”, esperti archeologi hanno illustrato nei dettagli le caratteristiche di una civiltà impregnata di  spiritualità e religiosità, la cui vita trascorreva pacifica a contatto con le genti di altre aree geografiche per le quali l’isola era solo una sosta prima di far rotta verso altri lidi.

“Alla mensa dei nuraghi”

Il “Museo di Olmo Axiu”, immerso nella bellezza agreste di Orroli, è una casa padronale adibita a museo etnografico e del ricamo. Non è un caso, quindi, che sia stato scelto come sfondo per presentare il CD Deinas, uno dei principali prodotti del progetto. Il “Museo di Olmo Axiu”,  “Casa Vargiu” nel dialetto locale, ha ospitato anche la presentazione del libro di Mauro Perra, noto archeologo, dal titolo “Alla mensa dei Nuraghi”, un testo di carattere divulgativo, ma non per questo meno rigoroso, che ci parla del cibo ai tempi dei nuraghi. A colloquio con la giornalista Giulia Clarkson, l’autore del libro ha illustrato le caratteristiche di una cultura lontana di cui c’è ancora tanto da studiare e posto l’accento sull’aspetto pacifico delle genti che abitarono il territorio  circa mille 500 anni prima di Cristo.

La giornalista Giulia Clarkson con l’archeologo Mauro Perra

Poco dopo, lo spettacolo teatrale che ha avuto per protagonista Rita Atzeri. Accompagnata alla percussione da Antonio Pinna, l’opera teatrale immediatamente immerge il pubblico all’interno di una società matriarcale in cui Cassandra, vittima di una violazione, perde il potere che la rendeva veggente e rispettata. Nessuno più crede in lei, tutti la ignorano. L’indifferenza deriva dalla perdita del mistero, della ricerca del sapere. Si tratta di uno spettacolo declinato al femminile e assai attuale.

Lo spettacolo teatrale di Rita Atzeri

Non è mancata, e soprattutto dopo la presentazione del libro dell’archeologo Perra, non poteva mancare, la cena nuragica. Elaborato seguendo le indicazioni tracciate dall’archeologo, il menù, a base di carne di cinghiale e legumi, ha ricreato odori e sapori di una cultura sarda ormai scomparsa.

Valorizzazione del territorio

L’iniziativa della compagnia di teatro “Il Crogiuolo” rappresenta uno sforzo per proporre un modello di animazione culturale-turistico diverso, senz’altro inconsueto e soprattutto innovatore. Con esso hanno voluto valorizzare le ricchezze dell’isola e promuovere un’immagine della Sardegna attrattiva anche se lontana dagli stereotipi di sole e mare.

Aztera, rispondendo ad una domanda della “Voce”, ci tiene a sottolineare che il progetto non si può e non si deve confondere con “Il turismo delle Radici”. Afferma convinta:

Una immagine di Cagliari

 – I sardi all’estero non hanno bisogno di un progetto specifico per tornare all’isola. Lo fanno ogni qualvolta lo desiderano o ne sentono il bisogno. Questo vale per la Sardegna e per il resto dell’Italia. La promozione del territorio all’estero credo vada rivolta verso chi non conosce la Sardegna. E, soprattutto, credo che vada orientata a scardinare gli stereotipi, le immagini da cartolina. Molti della Sardegna conoscono solo la “Costa Smeralda” che, a mio avviso, è l’emblema della speculazione. È lo sfruttamento dell’identità di un popolo; identità venduta ai grandi imprenditori che hanno distrutto la natura.

Commenta che il progetto vuole raccontare una storia, una identità, una specificità culturale.

– Come siete riusciti a convincere l’Unione Europea a sostenere  e finanziare il  vostro progetto?

– In questo aspetto – assicura -, l’Unione Europea è molto più avanti di noi. Abbiamo intercettato un bando. Abbiamo presentato il progetto, che era in linea con i requisiti richiesti dall’Unione Europea.  E così siamo riusciti ad ottenere i Fondi.

Precisa, “onde evitare equivoci rispetto alla dinamica del progetto”, che quanto “proposto è un percorso assai simile” a quanto già realizza all’interno del “Nurarcheo Festival”,

– Da 15 anni circa – ci dice – organizziamo questo “Festival”, un evento itinerante nelle nostre aree archeologiche. L’obiettivo è far dialogare gli amanti del teatro, perché noi appunto ci occupiamo di teatro, in rapporto con il territorio. Cerchiamo di far conoscere, attraverso il teatro, il nostro patrimonio archeologico e storico.

Mauro Bafile

 

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