Analisi – 10 anni dalla morte di Chávez: entusiasmo ieri, delusione oggi

Tanto entusiasmo, ieri; tanta delusione, oggi. Il Venezuela, mentre il potere politico commemora i dieci anni dalla morte del presidente Hugo Rafael Chávez Frías, vive una realtà dagli alti contrasti sociali. Il Paese  sopravvive tra l’opulenza eccessiva, di poco più del 3 per cento della popolazione, e la povertà estrema, di oltre l’80 per cento. Tra l’uno e l’altro, schiacciata come il formaggio nel panino, la classe media. Questa, minacciata costantemente dal fantasma della povertà, rappresenta appena un 10 per cento delle famiglie venezuelane sull’orlo del precipizio. Mondi diversi che s’intrecciano, si confondono e convivono, nonostante i loro contorni tanto disuguali. Tutti vivono all’ombra del potere: il primo per i benefici che derivano dalla vicinanza a chi ha la potestà di assegnare contratti e fare favori; il secondo, per ricevere quel poco che elargisce sotto forma di “bonus statali” e ammortizzatori sociali trasformati in elemosina e strumenti di sottomissione. Quest’ultima, la fetta della società che ha assunto proporzioni assurde, in gran parte non riuscirebbe a soddisfare i fabbisogni di sopravvivenza  senza le rimesse degli oltre cinque milioni di emigrati. E, poi, la classe media, sempre più debole, per non cadere nel vortice della povertà dalla quale difficilmente riuscirebbe ad uscire

Il tenente Colonello, Hugo Rafael Chávez Fría, all’indomani del colpo di Stato

Gli invitati internazionali, che assisteranno alle cerimonie di commemorazione dei dieci anni dalla morte del presidente Chávez, solo vedranno il Venezuela dell’opulenza. Il potere non mostrerà loro l’altra faccia della moneta.

Fin dall’inizio del secolo scorso, il Paese ha scommesso coscientemente o incoscientemente, su un’economia mono-produttrice e uno stato “paternalista”. L’industria petrolifera è sempre stata considerata il settore da coccolare e proteggere. D’altronde, da essa sono emanate da sempre le risorse in parte distribuite alla società sotto forma di investimenti pubblici che coinvolgevano l’industria privata la quale, a sua volta, creava posti di lavoro. Così le ingenti ricchezze derivate dall’estrazione, trasformazione e vendita del greggio permeavano la società. Certamente esisteva povertà. Ma questa lentamente, forse troppo, stava diminuendo. A permettere l’ascensore sociale, durante vari anni, ha contribuito l’accesso all’istruzione pubblica e alle borse di studio della “Gran Mariscal de Ayacucho”. Quest’ultime permettevano ai giovani di formarsi nelle migliori università del mondo, viaggiare e confrontarsi con società evolute.

Le deformazioni economiche, figlie di un modello di sviluppo con poco o nessun valore aggiunto, sono aumentate negli anni e messe in evidenza dalle frequenti oscillazioni del mercato petrolifero. Dall’inizio di questo secolo, abbiamo assistito all’impennata dei prezzi del greggio, che superavano i 100 dollari a barile fino a raggiungere nel luglio del 2008 la cifra record di 147,27 dollari sul mercato di New York; alla caduta libera, provocata dalla paura di recessione, nel dicembre dello stesso anno, quando il barile di petrolio raggiungeva i 32,40 dollari; alla ripresa lenta negli anni successivi fino a sfiorare i 108 dollari nel giugno del 2014; e di nuovo all’inversione di rotta, quindi in picchiata fino a raggiungere nel novembre dello stesso anno i 40 dollari. Da allora gli alti e bassi del mercato petrolifero sono stati costanti e sempre più frequenti.

Durante la presidenza di Chávez, l’incremento dei prezzi del greggio ha permesso la creazione di molteplici ammortizzatori sociali, senz’altro necessari, ma impiegati come allucinogeni per narcotizzare la società e creare la sensazione di benessere. Effetto collaterale, l’illusione che con i soli ammortizzatori sociali fosse possibile vivere o, meglio, sopravvivere. Agivano, quindi, come deterrente all’ascensore sociale.  Altro effetto negativo, la pressione sui prezzi dei prodotti, disponibili in misura sempre più ridotta negli scaffali dei supermarket.

Dopo la morte del presidente Chávez, il modello dello Stato accentratore di ogni potere e imprenditore si è mantenuto. Anzi, è stato approfondito, nonostante la crisi dei prezzi del petrolio, dando luogo ad una economia inefficiente e malata. Per far fronte alle forti pressioni sociali, il governo ha promosso una stagione di grosse importazioni. E permesso  la commercializzazione nel Paese dei più svariati prodotti: alcuni di prima qualità, per la società opulenta; ed altri di dubbiosa provenienza, per gli strati sociali con poca capacità d’acquisto. Parallelamente ha incoraggiato la circolazione del dollaro, permettendo la coesistenza tra la moneta nazionale e quella americana.

L’inflazione, e l’iperinflazione, da anni sono una costante. Responsabili sono da una parte il governo, che continua a stampare banconote da distribuire sul mercato, e dall’altro la valuta straniera sempre più presente grazie alle rimesse degli oltre cinque milioni di venezuelani che vivono e lavorano all’estero. Per combattere l’inflazione, che impoverisce tutti, sarebbe necessaria la volontà del governo e un apparato produttivo forte. Oggi non vi sono né l’uno, né l’altro. Anche se è vero che l’imprenditorialità manifesta segni, seppur assai timidi, di ripresa.

La encuesta fue presentada en la tercera edición de la Feria del Libro del Oeste de Caracas que se realiza en la Universidad Católica Andrés Bello (UCAB).
Oltre l’80 per cento della popolazione vive oggi nella povertà

La congiuntura economica del Venezuela è sempre precaria. Data la carenza di statistiche ufficiali è necessario rifarsi a quelle di organismi e istituzioni private. Ecoanalítica, nel corso del convegno “Dos caras de la misma moneda: Consumo y Finanzas”, ha sottolineato che il paese ha “bisogno di poco per crescere economicamente”. Ha quindi reso noto le proprie proiezioni per l’anno in corso: crescita del Pil attorno al 4,7 per cento, inflazione tra il 300 e il 400 per cento con crescita mensile attorno al 12 per cento e un tasso di cambio superiore ai 34 bolívares per dollaro. Dato curioso: la riduzione dell’attività sommersa o, ad essere più precisi, all’occupazione in attività sommerse.

Per il momento non pare ci siano all’orizzonte segnali che possano indicare pericoli per la sopravvivenza del governo. L’Opposizione è divisa. Non ha una leadership chiara. È un arcipelago di partiti con un numero crescente di esponenti con ambizioni presidenziali; un arcipelago di orientamenti ideologici, obiettivi e storie. I paesi che fino a ieri hanno sostenuto Juan Guaidó, continuano a osservare con preoccupazione l’evoluzione politica, sociale ed economica del Paese. Il presidente Maduro, quindi, potrebbe prendere l’iniziativa per una svolta economica e politica coraggiosa, sicuro che nulla pone in pericolo la sua continuità al vertice del potere. In realtà le minacce sono solo interne, perché anche nel governo, dietro l’immagine di coesione vi sono forti frizioni.

Per il momento la vera preoccupazione è come ridurre la povertà. Si stima che nel paese coesistono poco meno di mezzo milione di venezuelani che vive nel lusso, quasi cinque milioni che vivono in una bolla di benessere precario e il resto, 21 milioni di cittadini, che vivono in povertà. Sono proprio quest’ultimi che, ieri, hanno accolto con ottimismo l’ascesa del presidente Chávez e oggi, a dieci anni dalla sua morte, non nascondono la propria delusione per le tante promesse mai mantenute.

Mauro Bafile

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