I cent’anni di Vincenzo Carbone

CARACAS. – Da poco, lo scorso 23 gennaio, Vincenzo Carbone Leparulo, ha compiuto cent’anni. Un secolo. Anni vissuti intensamente durante i quali ha conosciuto gli aspetti belli e brutti della vita. È nato a Paolisi, in provincia di Benevento, nel 1923, in un periodo in cui le persone cercavano di dimenticare una guerra devastante che aveva portato il lutto in molte famiglie e in molte altre il dolore di rivedere un figlio, un marito, un fratello, tornare con gravi handicap fisici e a volte mentali.

Ha vissuto lui stesso il fascismo, una guerra ugualmente terribile, e poi la fame che ha sofferto la maggior parte degli italiani che hanno dovuto ricominciare dal nulla, dalle macerie, dal dolore.

 

 

I sacrifici non lo hanno mai spaventato, tutt’altro, e così come tanti altri connazionali ha seguito il sogno di una vita migliore in un paese lontano, davvero lontano, con il coraggio di chi sapeva da dove andava via ma non aveva idea del luogo in cui avrebbe dovuto ricostruire un’esistenza.

È arrivato in Venezuela e in questo paese ha lavorato, tanto, tantissimo, come tutti gli altri connazionali. Qui ha costruito una famiglia insieme alla sua amata Alida e a questa famiglia ha trasmesso i valori che hanno sempre animato il suo agire. Lo ha fatto con l’esempio più che con le parole. Con l’amore e non con l’imposizione.

Ha avuto tanti amici, persone con cui ha costruito famiglie sostitutive e verso i quali ha sempre agito con grande generosità e solidarietà, sentimenti che insegna sempre l’emigrazione.

Il suo centesimo compleanno lo ha festeggiato con i figli Janeth, Giovanna, Enza e Giuseppe e i nipoti Giovanna Espinoza Carbone, Elio Martinisi Carbone, Maria Gabriella Carbone Rengel e Vincenzo Carbone Rengel.

Lui non ha mai voluto lasciare il Venezuela, e con dolore ha visto partire i nipoti Elio che vive a Chicago e Vincenzo e Maria Gabriella che risiedono in Spagna. Ma pur lontani tutti continuano a portare dentro le parole di un uomo che non ha avuto paura di ricominciare, di guardare avanti, di sognare.

La nipote Giovanna, giornalista, ha dedicato l’articolo pubblicato sulla rivista edita dalla nostra Ambasciata “Italia Nostra”, che riportiamo integralmente, al nonno Vincenzo e a tutti coloro che un giorno salirono su una nave per arrivare a La Guaira e che hanno annodato radici vecchie con le nuove mantenendo lo stesso amore verso le loro due patrie: l’Italia e il Venezuela.

 Italiani di eredità e appartenenza

 

Vincenzo Carbone durante la Seconda Guerra Mondiale nella Regia Marina Militare.

Quando affrontiamo la questione dell’identità degli italiani che hanno lasciato il loro paese natale per avventurarsi nelle terre promesse di tutto il pianeta, non possiamo ignorare che questo viaggio è stato leggero di bagagli, ma pieno di speranze, tradizioni e costumi. Una ricerca appassionata per trovare una nuova casa lontano da casa.

Si raccontano così storie di lotta, risparmio e duro lavoro di una generazione che ha dato grandi contributi fuori dall’Italia, alzando la bandiera dell’arricchimento tra due Nazioni, dove oggigiorno condividono una storia comune, conseguenza dell’ibridazione culturale, e contemporaneamente trasferendo tale miscela in ciascun nucleo familiare.

I terribili eventi che generarono sia la Prima che la Seconda guerra mondiale sono impossibili da nascondere; tuttavia, è noto che la storia che li precede è il risultato del loro presente. Per molti italiani che hanno deciso di prendere il timone verso il Venezuela non è un segreto che questo Paese di grazia abbia fornito loro calore umano e mille opportunità di sviluppo, traendone un profondo senso di appartenenza.

Da una visione ravvicinata posso attestare che quegli italiani simili ai miei nonni, con forza ed entusiasmo, hanno realizzato quel sogno che l’America Latina prometteva loro quando per loro era solo una meta del tutto sconosciuta; mantenendo la fedeltà per il continente che li ha visti nascere. Si sono adattati facilmente, ma non hanno mai messo da parte le radici della loro italianità e in questo modo sono state mantenute di generazione in generazione le più belle usanze di unione familiare, della condivisione sacra all’italiana e rafforzando l’educazione attraverso la lingua, la musica e la gastronomia.

Questo immigrato italiano è la grande dimostrazione che si arriva ad amare profondamente nuovi orizzonti, ma anche che l’amore per le sue radici è così forte che il risultato più grande è sentire che il suo stampo personale di italiano non è mai stato lasciato da parte e che lo vede riflesso nei suoi figli, nipoti e pronipoti, il che ha permesso la sua vicinanza nella lontananza.

Si può dire con assoluta certezza che non si è italiani per il semplice fatto di avere un passaporto di quella nazionalità. Essere italiano è partecipare attivamente in tutto ciò che riguarda quella Nazione, è assorbire la cultura, è trasudare l’impegno per ciò che è nostro, è mettersi in gioco in modo proattivo con questa comunità disposta a contribuire allo sviluppo di un mondo globalizzato.

Costruire, seminare, appartenere sono parole che definiscono maggiormente gli italiani in Venezuela, forse per questo non vogliono essere trattati come stranieri quando si rivolgono e chiedono i loro diritti alle autorità che li rappresentano in Venezuela nei confronti dell’Italia, e in questo particolare spero che possiate prendere coscienza delle grandi potenzialità e leadership che esiste nel conglomerato di italiani al di fuori dall’Italia: siamo simili con la differenza che ci troviamo a latitudini diverse e dobbiamo stringerci la mano con maestà e rispetto.

 

 

Per chi non è ancora riuscito a capire, le uniche parole per voi cari connazionali, provengano da dove provengano: è arrivato il momento di andare avanti, di abbattere le barriere mentali e i paradigmi. Imparate da quell’immigrato italiano che ha dovuto adattarsi e prosperare a tutti i costi dopo un’era caotica. E applaudo chi ha capito che il destino li ha portati verso nuovi orizzonti e, insieme ad esso, la grande volontà di forgiare un futuro da zero, mantenendo l’eredità di essere italiani, con il cuore condiviso dal grande affetto per il Venezuela, mettendo da parte nostalgia e lasciando il passato alle spalle.

Italiani tutti, non permettiamo che l’essenza dell’essere italiani scompaia. Abbiamo un impegno con coloro che ci hanno insegnato a valorizzare il sacrificio di reinventarci da zero e a contemplare l’immensa bellezza che si trova nel nostro stile e modo di vedere la vita, dove per prima cosa definiamo l’importanza della famiglia come pilastro fondamentale e quindi continuiamo con quel foro interno che ci contraddistingue senza sottovalutare il fatto che siamo cittadini universali in un’epoca in cui più che indispensabile è obbligatorio.

Infine, permettetemi di citare il libro “Svegliamoci italici! Manifesto per un futuro glocal” di Piero Bassetti:¨Deterritorializzando i valori, diffusi nel mondo dalle comunità italiche, i conti per la valutazione dei costi e dei benefici saranno fatti, quindi, con una nuova matematica: quella che viene applicata alle linee di forza globali dovrà sempre più interconnettere gli italici nel mondo”.

Giovanna Carbone

 

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