Editoriale – La fragilità del diritto all’aborto

L'aborto, un diritto conquistato in Italia nel 1978

Il diritto all’interruzione della gravidanza in strutture sicure, ancora negato in molti paesi, in altri è stato conquistato dopo anni e anni di lotte. Nonostante ciò, anche in quelle nazioni in cui sembra acquisito, è tra i diritti più fragili e troppo spesso si trasforma nel campo di battaglia in cui si misurano le forze dei governi di destra e di sinistra.

Abbiamo visto con quanta facilità negli Stati Uniti si stia limitando quella che fino a qualche tempo fa veniva considerata una norma inderogabile. Sono bastati pochi mesi per cambiare la storia e oggi le donne di vari stati non possono contare su strutture e medici che permettano loro di interrompere la gravidanza in condizioni sicure. Ne risentono soprattutto le donne delle classi più disagiate, sia perché spesso sono impegnate in lavori che non permettono assenze di vari giorni, necessari per chi decide di viaggiare in un altro stato, sia perché non sono in condizione di affrontare i costi del viaggio e soggiorno in un’altra città. Molte ricorreranno come in passato alle mammane mettendo a rischio la propria vita.

Perfino in Spagna, paese governato da una coalizione di sinistra con leggi che sono all’avanguardia per ciò che riguarda la salute sessuale e riproduttiva, abortire sta diventando più difficile nella regione di Castilla y León, alla cui guida ci sono il PP (partito popolare) di centro destra e Vox di destra. La pressione che sta esercitando questo secondo partito sul PP ha permesso di proporre una serie di misure volte a rendere più complicata e psicologicamente dolorosa l’interruzione di gravidanza. Tra le misure proposte c’è quella di obbligare i medici ad offrire alle donne che si recano ad abortire, la possibilità di ascoltare il battito del cuore del feto. Un passaggio crudele perché volto a creare un senso di colpa a chi già di per sé sta vivendo un momento difficile della sua vita. Una interferenza inaccettabile in quella che è una decisione che deve essere presa in piena libertà. Un modo sottile, indiretto per intralciare il diritto all’aborto.

È quanto si cerca di fare anche in Italia, da quando il governo è in mano alla coalizione di destra guidata dalla premier Giorgia Meloni.

Pur proclamando che non esiste l’intenzione di cancellare il diritto all’aborto, esso viene attaccato ai lati con misure che lo rendono molto più difficile. Si tende a colpevolizzare la donna, a crearle una ferita interna che difficilmente potrà sanare. In pratica invece di avere un aiuto per superare al meglio un momento difficile, la donna si sente criminalizzata e giudicata. Un fiorire di medici obiettori di coscienza nelle strutture sanitarie pubbliche rende difficilissima l’interruzione di gravidanza in regioni governate dal centro destra. Nelle Marche è quasi impossibile realizzarsi un aborto sicuro in una struttura pubblica e lo stesso accade in molte regioni del Sud come Puglia, Sardegna e Sicilia. L’aborto farmacologico con la pillola Ru486, concesso nelle prime settimane di gravidanze, è praticamente proibito non solo nelle Marche ma anche in Abruzzo, Umbria e Piemonte.

In Umbria la Giunta Regionale ha firmato un “Manifesto valoriale” per sostenere la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e la vita dal concepimento fino alla morte naturale.

In molte regioni, poi, esiste già il cimitero dei feti, luogo del terrore che tende a criminalizzare la madre e a provocarle durante l’intera esistenza terribili sensi di colpa.

In questi primi mesi di governo sono già stati presentati quattro disegni di legge volti a limitare il diritto all’aborto. Il primo è stato presentato da Maurizio Gasparri di Forza Italia che chiedeva il riconoscimento delle capacità giuridiche del concepito. Il secondo a firma del capogruppo della Lega Massimiliano Romeo prevedeva che “il concepito sia riconosciuto quale componente del nucleo familiare a tutti gli effetti”.

Poi Isabella Rauti di FdL ha chiesto di istituire il 25 marzo come “Giornata del nascituro”.

E, come se ciò non bastasse, è arrivato il disegno di legge di Roberto Menia di FdI che vorrebbe riconoscere la soggettività giuridica degli embrioni fin dal momento del concepimento.

Un disegno di legge che, se riuscisse a passare, svuoterebbe di forza e contenuto la legge 194 che fin dal 1978 garantisce alle donne il diritto all’interruzione di gravidanza entro il terzo mese.

È chiaro che le forze più reazionarie, quelle legate alle organizzazioni pro-life e ai settori religiosi più conservatori, si mimetizzano, a volte si nascondono, ma sono sempre pronte a riapparire con forza per minare l’autodeterminazione delle donne e per ledere i diritti di intere categorie di persone con la prepotenza e la cecità di chi vuole imporre a tutti i costi una propria visione della vita e della società.

Mariza Bafile

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