“Due terzi Paesi Nato hanno esaurito le armi per Kiev”

L'immagine del palazzo distrutto in Chasiv Yar - nella regione di Donetsk dell'Ucraina orientale - in seguito a un bombardamento delle forze russe con missili Hurricane, 10 luglio 2022. (Ufficio Stampa Polizia Ucraina)

WASHINGTON. – Munizioni e missili non scarseggiano solo in Russia. Due terzi dei Paesi della Nato sono a corto di armi da inviare all’Ucraina e si stanno muovendo rapidamente per cercare di rimpinguare i loro arsenali, non solo per sostenere le forze di Kiev in una guerra che si teme ancora lunga ma anche nel caso di un’escalation e un allargamento nel conflitto con Mosca.

E’ il quadro allarmante descritto da un alto funzionario dell’Alleanza Atlantica al New York Times, che lascia anche trapelare come da Bruxelles si stia guardando a quei membri che “possono fare di più” come Francia, Germania e Italia.

In questi nove mesi i Paesi della Nato hanno fornito 40 miliardi di dollari di armamenti all’esercito di Volodymyr Zelensky, praticamente il bilancio annuale della difesa della Francia. Una cifra enorme soprattutto per i Paesi europei dotati di quelli che qualcuno a Bruxelles chiama “gli eserciti bonsai” con scorte “modeste” di artiglieria, munizioni e sistemi di difesa.

Persino gli Stati Uniti, che da soli hanno fornito all’Ucraina armi per 18 miliardi di dollari e hanno l’industria della difesa più potente al mondo, cominciano a preoccuparsi di un depauperamento delle loro scorte, nonostante il Pentagono continui ad assicurare che l’arsenale americano non è in sofferenza. E c’è anche da considerare che il dispendio di armi al quale si sta assistendo in questa conflitto non si vedeva dalla Seconda Guerra mondiale.

Per gli esperti, un giorno in Ucraina equivale a un mese in Afghanistan, dove le forze della Nato sparavano 300 colpi al giorno rispetto alle migliaia che partono quotidianamente nella battaglie tra russi e ucraini. Ora, esclusi i 20 Paesi dell’Alleanza, tra cui Polonia e Stati Baltici, che hanno “esaurito il loro potenziale”, da Bruxelles è iniziato un pressing su quei 10 che “possono fare di più”.

Naturalmente non gli Stati Uniti, che non hanno bisogno di incoraggiamento, quanto Francia, Germania, Italia e Olanda. Lo stesso segretario generale Jens Stoltenberg ha avvertito di recente questi membri, Berlino in testa, di non sfruttare le linee guida della Nato sulle scorte di armi come un pretesto per limitare l’invio di attrezzature all’Ucraina.

Ma la questione non è così semplice. Innanzitutto cominciano a scarseggiare armi e munizioni di epoca sovietica, come i missili di difesa aerea S-300 o carri armati T-72, tanto che all’interno della Nato si era cominciato a parlare di ripristinare vecchie fabbriche in Repubblica Ceca, Slovacchia e Bulgaria. Poi c’è la questione delle leggi sulle esportazioni di armi che regolano la vendita da un Paese all’altro. La Svizzera, ad esempio, rivendicando la sua neutralità, ha impedito alla Germania di inviare in Ucraina armi prodotte dalle sue industrie e vendute a Berlino. Anche l’Italia ha simili restrizioni sull’export di armi.

Tutto questo rende difficile il rifornimento anche delle scorte di ciascun Paese. Infine, da Parigi a Washington passando per Roma e Berlino i governi dell’Occidente da mesi cercano di calibrare le armi che arrivano nelle mani dell’esercito ucraino per scongiurare attacchi diretti in Russia e una conseguente escalation dagli esiti imprevedibili.

(di Benedetta Guerrera/ANSA)

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