Governo: braccio di ferro continuo, maggioranza divisa sulla manovra

Una veduta esterna di Palazzo Chigi durante il Consiglio dei Ministri, Roma, 21 novembre 2022.
Una veduta esterna di Palazzo Chigi durante il Consiglio dei Ministri, Roma, 21 novembre 2022. ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – Le facce sono distese, e i proclami di intesa e di manovra “politicamente chiusa” si ripetono. Tanto che tutti si dicono soddisfatti, dopo due ore di vertice, alla Camera, negli uffici di Fdi, anziché a Palazzo Chigi. Forza Italia rivendica l’aumento delle pensioni minime e la Lega che sono state accolte le sue istanze.

Salvo che alcuni dei nodi principali su cui la maggioranza si è divisa nella corsa degli ultimi giorni, dall’Iva sui beni di prima necessità (come il pane, la pasta e il latte) al taglio del cuneo da destinare anche alle imprese, restano ancora tutti lì da definire.

La battaglia più dura è quella sul Reddito di cittadinanza. Con Lega e Forza Italia inclini a una soluzione soft rispetto a quella prospettata da Fratelli d’Italia, di una azione forte, per chiudere sostanzialmente subito con una misura assistenzialista che ha disincentivato il lavoro. Giorgia Meloni ascolta tutti: la corsa a piantare bandierine di partito su questa o quella misura era attesa.

Ma il clima, dicono da Fdi, tutto sommato era buono e l’importante, ribadisce la premier agli alleati, è andare spediti. Anche per questo concede qualcosa a tutti. Ricordando che era fondamentale dare segnali chiari su tre filoni, “l’energia, il lavoro e il sostegno ai cittadini”.

Ma in così pochi giorni e alla prima manovra, un concetto ripetuto nelle riunioni non solo oggi, non era possibile dare seguito a tutte le proposte dei partiti. Anche perché il programma e l’orizzonte che il governo si è dato è di 5 anni. E la coperta, pure tirata al massimo grazie all’extradeficit, comunque è corta. Giorgetti lascia il vertice e corre al Mef, come dice lui stesso, a finire di tirare le somme per fare quadrare i conti. Che in parte dipendono anche dal compromesso sul reddito.

Meloni, che anche alla vigilia della prima legge di Bilancio che porterà la sua firma è rimasta al lavoro a Palazzo Chigi fin dopo mezzanotte, avrebbe voluto mettere fine al sussidio, per chi è in grado di lavorare, già da giugno. La Lega fino all’ultimo proponeva una uscita più graduale dalla misura, con un decalage.

Alla fine il compromesso potrebbe essere un periodo transitorio di un anno per poi interrompere l’erogazione per i soggetti definiti “occupabili”, circa 650mila degli attuali percettori del Reddito, da gennaio 2024. Il concetto da fare passare, in ogni caso, è che non ci sarà più una rendita a vita a spese dello Stato per chi può dare il suo contributo attivo. Anzi, già al primo rifiuto, anche di un impiego per pochi giorni, si perderà il beneficio.

Nel corso del vertice Fi ha insistito, pur consapevole degli spazi ristrettissimi, sui suoi cavalli di battaglia, la detassazione delle assunzioni per i giovani, la flat tax, le pensioni. Su quest’ultimo punto a ora di cena sembrebbe averla spuntata, stando alle dichiarazioni ufficiali. Ma l’aumento delle minime ad avvio di un complicato Cdm notturno, secondo i tecnici al lavoro sull’intero pacchetto, sarebbe ancora da definire.

Così come si sarebbe riaperta, durante la riunione di maggioranza, la divisione tra chi sul cuneo avrebbe preferito un intervento anche a favore degli imprenditori (come chiede Confindustria che però punta sempre a un taglio deciso del costo del lavoro) e chi invece, come lo stesso Giorgetti, punta tutto sui lavoratori, a partire da quelli più deboli.

Una situazione che fa pensare a molti nella maggioranza alla necessità di ulteriori successivi approfondimenti anche una volta definita e approvava, a Palazzo Chigi, la legge di bilancio nelle sue linee: una possibilità che potrebbe far slittare di qualche giorno la presentazione della manovra in Parlamento, con tempi che sono già compressi all’inverosimile.

(di Silvia Gasparetto/ANSA)

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