Enrico Frabetti, a Madrid con Ferrara nel cuore

MADRID – “Quando lasciai Ferrara, non immaginavo che poi non vi sarei tornato a vivere”. Poche parole per fotografare un fenomeno assai comune. Ci si reca all’estero per quella che dovrebbe essere un’effimera esperienza. Si pensa a pochi mesi, a quelli giusti per completare il percorso di formazione universitaria; quella di “post-grado”, tanto per intenderci. Quei mesi, a poco a poco, si trasformano in anni. E si mettono le radici in un paese la cui lingua, storia e tradizioni non sono quelle del tuo, ma che poco a poco impari a capire e ad apprezzare e, proprio per questo, arricchiscono il tuo bagaglio culturale. È quanto è accaduto a Enrico Frabetti che, dopo aver vissuto circa dieci anni in Belgio, sette anni fa ha deciso di trasferirsi in Spagna. Oggi è il Direttore di “Politica Alimentare e Salute” della “Federación de Industrias de Alimentación y Bebidas”.

 

– Perché Madrid? – abbiamo chiesto.

– Ho avuto l’opportunità di trasferirmi con la famiglia – ha spiegato -. Ero sposato con una ragazza spagnola e vivevamo a Bruxelles. A Bruxelles sono nati i nostri due bambini. Lì il tempo è pessimo. Piove sempre e poi la vita sociale non mi piaceva troppo anche se, devo riconoscere, è una città molto effervescente, con persone provenienti da qualsiasi parte del mondo. A un certo punto ci siamo detti: “o andiamo in Italia o andiamo in Spagna”. In quel momento mi fu offerta l’opportunità di trasferirmi a Madrid. Abbiamo colto la palla al balzo.

Il ferrarese Enrico Frabetti

 

Ha raccontato che concluso il tirocinio a Bruxelles, presso l’ufficio di Unioncamere, tornò a Ferrara dove si preparò per partecipare, come tanti altri giovani della sua età, al concorso diplomatico.

– In fondo – ha confessato -, era la ragione per la quale avevo studiato a Bruxelles. Ci ho provato. Ma non è andata bene al primo tentativo. Mi trovai disoccupato a Ferrara. Mi ero riproposto di non tornare a Bruxelles. Ma mi chiamarono dall’ufficio di Unioncamere, dove avevo svolto il tirocinio, e mi dissero: “il posto, se vuoi, è tuo”. Tra essere disoccupato in Italia e tornare in Belgio, dove ancora avevo degli amici, la scelta non poteva che essere una. Da Bruxelles a Bologna, che è il mio aeroporto di riferimento, si impiega un’ora e mezzo d’aereo. Decisi, senza realmente pensare nel futuro. Ci sono rimasto dieci anni, prima di trasferirmi in Spagna.

 

– Quando hai deciso di accettare il lavoro, qual è stata la tua sensazione… lasciare i luoghi dove hai trascorso l’adolescenza, i genitori, gli amici…

–  Probabilmente non ero cosciente di tutto ciò – ha ammesso con estrema franchezza -Ricordo la prima volta, quando partii per fare lo stage. Lasciai Ferrara sapendo che sarei tornato dopo tre o quattro mesi. Devo dire che fu un momento molto emotivo. Non ero mai rimasto fuori casa per un periodo così lungo. Andare a vivere da solo… Mi dissi: “cavolo, non è uno scherzo!”. Invece, la seconda volta, che era molto più importante perché andavo via con un contratto di lavoro senza sapere quando sarei tornato, l’affrontai in una maniera molto pragmatica. È anche vero che già conoscevo la città. E poi potevo sempre prendere un volo di Ryanair, spendendo molto poco, e trascorrere il fine settimana a casa. Non era New York! Stavo ad appena un’ora e mezzo di volo. E questo, in realtà, mi ha dato sempre molta, molta tranquillità.

 

 

– Ti senti un emigrante o un professionista che trascorre un periodo di lavoro all’estero?

– In realtà – ci ha assicurato -, non mi sono mai sentito un emigrante. Sono semplicemente una persona che lavora nell’ambito dell’Unione europea. Probabilmente se vivessi in un paese fuori di essa, magari in Cina, sarebbe diverso. Nel fondo a Bruxelles ci sono molti italiani, a Madrid tantissimi. Per cui, credo che si tratti di un’esperienza d’emigrazione molto facile…

Solo una questione di semantica?

Emigrazione o mobilità. È solo una questione di semantica? Una volta, già chi si recava al nord Italia per lavorare in fabbrica era considerato un emigrante… e oggi? È una riflessione che abbiamo condiviso con Frabetti.

– Direi che si tratta di mobilità al 100% – ha affermato convinto, per poi sostenere:

 

Ferrara. (Foto di alex1965 da Pixabay)

 

– Oggi, una persona che vive a Milano, impiega probabilmente lo stesso tempo per recarsi a Bari, a Monaco di Baviera o a Berlino. Per cui, in realtà, quel che cambia sono alcuni tratti culturali. Per esempio, la lingua… I giovani lo vedono come un qualcosa di molto normale. Considero che sia un fenomeno molto positivo.

 

– Cosa ti manca di Ferrara?

– La dimensione – è stata la sua risposta immediata. Quindi, ha spiegato:

 – È una città piccola. Il centro lo raggiungi in pochi minuti. Puoi andare in bicicletta senza rischiare la vita. Poi, chiaramente mi mancano la famiglia e gli amici. Ferrara è una città che associo alle persone, alle pietanze, alla squadra di calcio. Sono legami che fanno parte un po’ della mia vita e della tradizione ferrarese. Può sembrare banale, ma quando parli con altre persone che, come te, hanno deciso di vivere fuori dall’Italia ti rendi conto che sono parte delle nostre radici.

Dopo un attimo di riflessione, ha proseguito con un po’ di nostalgia:

 – Sembrerà forse malinconico ma, a novembre, mi manca la passeggiata in centro la sera, quando i negozi cominciano a chiudere e c’è la nebbia. Certo, non la farei tutti i giorni, c’è tanta umidità. Questo passeggiare, con le luci un po’ diffuse vicino alla Cattedrale avvolta dalla nebbia, trasmette molta calma. Mi manca prendere l’aperitivo con gli amici mentre guardi un monumento, senza aver dovuto prenotare, pianificare e uscire un’ora prima. È una questione di dimensioni e di affetti. Mi manca prendere la bicicletta, andare lungo una pista ciclabile fiancheggiata da alberi e pedalare ascoltando la musica. Sono piccole cose alle quali, quando vivevo a Ferrara, non davo importanza.

 

– Quando torni in Italia per una vacanza, o anche solo per un fine settimana, cosa ti manca della Spagna, di Madrid?

– Dopo 7 anni – ha ammesso -, ho organizzato la mia vita qua. Sono una persona abbastanza abitudinaria. Quindi, dopo un po di giorni che sono fuori casa, ho voglia di tornare alla mia normalità. La Spagna è un paese meraviglioso, molto simile all’Italia. Ciò ti permette di adattarti con facilità. Le persone sono aperte, gioviali. Penso che a Madrid ci sia una cultura dell’accoglienza. È anche vero che i “madrileños” sono pochi. Chi vive a Madrid, nella stragrande maggioranza, proviene da altre regioni della Spagna. Per cui, siamo tutti un po’ stranieri. È un fenomeno che unisce e ti fa sentire integrato.

 

 

– Hai amici ferraresi a Madrid?

– Ho la fortuna di avere amici italiani che, tra l’altro, sono anche ferraresi – ci ha detto – , ma non ci vediamo con la frequenza che vorremmo. Mi considero molto integrato in questa realtà. Ed infatti, la maggior parte degli amici sono spagnoli. Ci sono amicizie più solide con cui si prende una birra dopo il lavoro.

Ha commentato i suoi vincoli con la Scuola Statale italiana, grazie ai figli che frequentano le elementari. E con il club di rugby per i bambini, gli “Orsi”, che rappresenta un vincolo con l’Italia, anche se, ha confessato, “in realtà più della metà sono spagnoli”.

Integrazione e diritti civili

Integrazione. È una parola che, per avere vero contenuto, dovrebbe essere accompagnata dai “diritti politici”. Non si tratta solo di pagare le tasse ma anche di poter decidere, con il voto politico, come amministrare quel denaro. È un voto che non dovrebbe essere condizionato dalla cittadinanza, né questa alla rinuncia di quella di origine. Frabetti ha le idee chiare.

– Faccio fatica a comprendere – ha commentato -. Vivendo nell’Unione europea non dovrei rinunciare alla mia cittadinanza per acquisire quella del Paese in cui vivo. Sono italiano e non vedo perché dovrei rinunciare alla mia essenza. Non credo sia giusto, anzi… mi sembra anche crudele.

Considera che l’integrazione è un processo assai positivo, in quanto non implica perdere la propria identità che “è vincolata alla cultura, all’educazione, alla lingua, alle tradizioni”. Controcorrente. A differenza di tanti connazionali, considera che non ha senso votare alle “politiche o alle amministrative” in Italia quando si vive e si pagano le tasse in un altro Paese e non ritiene giusto che dall’estero si possa condizionare una realtà politica senza poi soffrirne le conseguenze. Giusto? Forse sì e forse no.  Un’opinione che rispettiamo ma non condividiamo poiché all’estero per ottenere un documento dal Consolato spesso si paga e non si possono usare i servizi che sì sono a disposizione di chi vive in Italia: sanità, educazione e via di seguito. E poi, non si può dimenticare che la politica, con le sue decisioni, può incidere anche sulla vita di chi, come noi, è all’estero.

 

Ferrara di sera
Ferrara di sera. (https://www.flickr.com/photos/sisolo/)

 

– Preferirei poter votare dove pago le tasse – ha precisato.

La richiesta di un’intesa tra Italia e Spagna sulla doppia cittadinanza va giusto in quella direzione. In quanto all’Unione Europea,  considera che l’integrazione le hanno fatte le compagnie aeree low-cost.

– L’ha fatta soprattutto Ryanair – ci ha detto senza ironia -. Non si vorrà riconoscere perché il suo CEO è odiato a Bruxelles. Ma la realtà è che, per tantissimi anni, gli studenti Erasmus e chi lavora in altri paesi dell’Europa, hanno potuto continuare a tornare in Patria il fine settimana o, comunque, spesso grazie ai costi bassi dei loro biglietti. Può sembrare ridicolo, ma da studente, se non fosse stato per Ryanair non avrei potuto tornare a casa una volta al mese. La mobilità è stata realmente incoraggiata dai voli low cost.

 

– Quali sono stati i primi lavori all’estero?

– In realtà – ha confessato -, in Spagna non ho avuto altri lavori che questo. La Fiab è una Federazione di aziende che opera nell’ambito agroalimentare spagnolo.

 

– Hai due bambini, viaggiano spesso a Ferrara?

– Hanno  10 e 7 anni – ha affermato -. A Ferrara andiamo due o tre volte all’anno.

Ha spiegato che, “essendo bambini, associano Ferrara, alle vacanze: scolastiche, di Natale o ad un semplice  fine settimana lungo”.

– E poi – ha proseguito -, comunque ci sono i nonni, i giocattoli, il cibo… le cose che a loro piacciono. I miei genitori, a Ferrara, hanno una casa con il giardino. Io qua non ce l’ho e, probabilmente, non potrò mai averne una uguale. Per cui, è una dimensione diversa. È alzarsi al mattino, aprire la porta e poter giocare a pallone o prendere la bicicletta e andare a mangiare un gelato. Manca quella qualità di vita, perché è legata alla dimensione.

 

– Ferrara è una città grande, ma comunque provinciale…

– Si, provinciale, ma nel senso buono, nel senso positivo della parola – ha precisato -. Una città sicuramente a misura di bambino.

Per concludere, a chi desidera avventurarsi all’estero consiglia di conoscere qualcosa del paese in cui intende recarsi, conoscere anche un po’ la lingua.

–  Per tornare– ha affermato – c’è sempre tempo. Mi sembra bello conoscere posti nuovi. Penso che Madrid sia una città facile. Bruxelles, per esempio, non lo è, e neanche lo è la lingua… poi – ha commentato con un sorriso – i belgi te lo complicano tutto.

Redazione Madrid

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