Rabbia in Russia, i richiamati tornano dentro le bare

Soldati russi a Mariupol, Ucraina.
Soldati russi a Mariupol, Ucraina.EPA/SERGEI ILNITSKY

ROMA. – Due settimane, il tempo di ricevere l’avviso di leva, partire per il fronte su un treno zeppo di commilitoni arrabbiati, arrivare a destinazione. E tornare indietro dentro un bara. La mobilitazione parziale voluta dal presidente russo Vladimir Putin per rimpiazzare le perdite dell’Armata in sette mesi e mezzo di guerra, avrebbe già portato in Ucraina 16mila richiamati, secondo i numeri annunciati da Mosca.

Ma alcuni di loro hanno già percorso il fatale viaggio di ritorno, primi caduti tra i mobilitati. E questa volta non si tratta di militari arrivati dalle più remote regioni della Federazione, come i massacratori siberiani di Bucha e Irpin. Dopo il 21 settembre, la cartolina di richiamo è stata consegnata in maniera capillare, chiamando alla guerra anche uomini che non si sarebbero mai sognati di scendere in una trincea.

I video pubblicati dieci giorni fa sui social da soldati appena arrivati in treno nella regione di Belgorod da diverse zone della Russia mostravano proteste e rabbia: “Ci trattano come animali, non siamo stati addestrati, non abbiamo elmetti, giubbotti antiproiettile, medicine, denaro e perfino cibo. Se non avessimo quello che ci siamo portati da casa, neppure mangeremmo”.

La fretta della mobilitazione, oltre a provocare una fuga generalizzata degli uomini in età di leva specie tra chi possiede un titolo di studio e un buon lavoro, ora mostra effetti nefasti. Andrei Nikiforov, avvocato di San Pietroburgo, ha ricevuto la convocazione il 25 settembre. Il 7 ottobre è rimasto ucciso. “Non sappiamo cosa sia successo”, ha detto Alexander Zelensky, capo del Nevsky Collegium of Lawyers, di cui Nikiforov era membro, “tutto quello che abbiamo è una data e un luogo”.

Quel luogo dove Andrei è morto è nel Lugansk, a Lysychansk, una delle zone più pericolose vicino al fronte. Veterano dell’esercito, Nikiforov non era sorpreso di essere stato richiamato: “Non ha esitato”, ha raccontato Zelensky secondo quanto riporta il Guardian, “non ha cercato di sottrarsi. Ha raccolto le sue cose ed è andato. Ha agito con coraggio”.

Alexei Martynov, impiegato governativo di 28 anni, è stato mobilitato il 23 settembre, ha detto il padre. La sua morte è stata confermata il 10 ottobre. “Mio figlio è morto, a che cosa servo ora io”, ha scritto in un post sui social il 13 ottobre. “Non sappiamo nulla di più di quello che è stato messo su internet”, ha dichiarato secondo quanto riporta l’Observer.

Secondo Natalya Loseva, vice direttore del canale televisivo RT, Alexei aveva prestato servizio obbligatorio nel reggimento Semyonovsky, cioè solo attività cerimoniali: “Non aveva alcuna esperienza di combattimento”, ha scritto sui social, “è stato mandato al fronte in pochi giorni”.

Giovedì la regione di Chelyabinsk, alle pendici degli Urali, ha annunciato la morte di cinque soldati mobilitati provenienti da un unico commissariato militare. Ieri si è saputo di altri quattro uccisi partiti dalla regione di Krasnoyarsk, in Siberia centrale. Secondo la Bbc russa, altri 14 sono morti ancor prima di raggiungere il fronte, chi per suicidio, altri per attacchi di cuore e altri per misteriosi malanni.

Nella conferenza stampa di due giorni fa ad Astana, Putin ha dichiarato che 222.000 russi erano già stati richiamati, sottolineando che i mobilitati ricevono un addestramento di base di 5-10 giorni e dopo un altro ancora di 5-15 giorni. Ma l’opinione pubblica non ci sta a vedere quelle bare che tornano in Russia. “Leader militari, non è il momento di mentire”, ha scritto Loseva. “Non avete il diritto di mentire, ora è un crimine”.

(di Silvana Logozzo/ANSA)

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