Papa Francesco: “Lavoro a giovani e donne o la società si ammala”

Disoccupate in corteo a Napoli, con figli e passeggini, nel giorno della festa dedicata alle donne,
Disoccupate in corteo a Napoli, con figli e passeggini, nel giorno della festa dedicata alle donne, (ANSA / CIRO FUSCO)

CITTÀ DEL VATICANO. – Dare un’occupazione ai giovani, senza più costringerli a espatriare. Mai più cacciare donne dal lavoro perché incinte. Condividere la ricchezza anche attraverso le tasse, che non sono “un’usurpazione” bensì “il cuore del patto sociale”. Tagliare la maxi-forbice tra gli stipendi, altrimenti “la società si ammala”.

E’ quasi un decalogo per i “buoni imprenditori” quello che – salutato da numerosissimi applausi – papa Francesco propone all’Assemblea di Confindustria, guidata dal presidente Carlo Bonomi, durante l’udienza in Sala Nervi. Ed è anche un’alleanza col mondo dell’impresa, quella che il Pontefice lascia intravedere, alternando alle stilettate per le cose che non vanno ampi riconoscimenti sul ruolo sociale degli imprenditori, “che sono una componente essenziale per costruire il bene comune, sono un motore primario di sviluppo e di prosperità”, mentre “le grandi sfide della nostra società non si potranno vincere senza buoni imprenditori”, non ultima, ad esempio, quella ambientale.

Il Papa, nel suo ampio discorso, parte dal fatto che la crisi innescata dalla pandemia e amplificata dalla guerra e dalla crisi energetica colpisce tutti, anche “il buon imprenditore”. ma anche dalla provocazione che “i denari di Giuda e quelli del Buon Samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze”, e che “l’economia cresce e diventa umana quando i denari dei Samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda”.

Ecco allora la domanda: “quali sono le condizioni perché un imprenditore possa entrare nel Regno dei cieli?”. Cosa “difficile, si, ma non impossibile”, premette non senza una qualche ironia. E di “condizioni” Bergoglio ne indica alcune. Prima fra tutte la “condivisione” della ricchezza, secondo la “responsabilità di “far fruttare i beni, non disperderli, usarli per il bene comune”.

Le forma possono essere diverse, tra cui la “filantropia” (e il Papa ringrazia gli imprenditori per il “sostegno concreto al popolo ucraino”). Ma anche le tasse e le imposte sono “una forma di condivisione spesso non capita”. Perché “il patto fiscale è il cuore del patto sociale”, anche se “le tasse devono essere giuste, eque, fissate in base alla capacità contributiva di ciascuno, come recita la Costituzione italiana (cfr art. 53)”.

Un’altra via di condivisione “è la creazione di lavoro, lavoro per tutti, in particolare per i giovani”, prosegue il Papa su un tema che gli sta molto a cuore, guardando poi anche alla questione della “denatalità” e dell'”inverno demografico”, contro cui bisogna lottare in modo urgente, anche sostenendo concretamente le famiglie.

“Oggi fare i figli è una questione, io direi, patriottica, anche per portare il Paese avanti”, scandisce Francesco. Che qui si ferma: “alle volte, una donna che è impiegata qui o lavora là, ha paura a rimanere incinta, perché c’è una realtà – non dico tra voi – ma c’è una realtà che appena si incomincia a vedere la pancia, la cacciano via. ‘No, no, tu non puoi rimanere incinta’. Per favore, questo è un problema delle donne lavoratrici: studiatelo, vedete come fare affinché una donna incinta possa andare avanti, sia con il figlio che aspetta e sia con il lavoro”.

Francesco non trascura “il ruolo positivo che giocano le aziende sulla realtà dell’immigrazione” e la necessità di “integrare” i migranti con il lavoro. Perché “se il migrante è respinto o semplicemente usato come un bracciante senza diritti, ciò è un’ingiustizia grande e anche fa male al proprio Paese”.

Ultimo monito quello sull'”uguaglianza”, nelle imprese e nella società: “È vero che nelle imprese esiste la gerarchia, è vero che esistono funzioni e salari diversi, ma i salari non devono essere troppo diversi. Oggi la quota di valore che va al lavoro è troppo piccola, soprattutto se la confrontiamo con quella che va alle rendite finanziarie e agli stipendi dei top manager. Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga, si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società”.

(di Fausto Gasparroni/ANSA)

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