L’Onu accusa la Cina di “crimini contro gli uiguri”

Uiguri, i mussulmani cinesi dello Xinjiang.
Uiguri, i mussulmani cinesi dello Xinjiang. Archivio.

PECHINO. – Le accuse alla Cina sulle “gravi violazioni” dei diritti umani nello Xinjiang sono “credibili” e lo stato è tale da richiedere un'”urgente attenzione” internazionale: l’Ufficio dell’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani si è spinto fino a rilevare che “la portata della detenzione arbitraria e discriminatoria degli uiguri e di altri gruppi a maggioranza musulmana può costituire crimini internazionali, in particolare contro l’umanità”.

A pochi minuti dalla scadenza del suo mandato, l’Alto Commissario Michele Bachelet ha diffuso la scorsa notte il rapporto a lungo atteso sullo stato dei diritti umani nello Xinjiang, sgretolando le ragioni delle politiche contro il radicalismo opposte dalla Cina. Che ha reagito fuoriosamente: “Il cosiddetto rapporto critico è pianificato e inventato in prima persona dagli Usa e da alcune forze occidentali. É del tutto illegale e non è valido”, ha tuonato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. “É un miscuglio di disinformazione ed è uno strumento politico usato come parte della strategia occidentale di far leva sullo Xinjiang per controllare la Cina”, ha aggiunto.

Le quasi 50 pagine del lavoro hanno messo in discussione le strategie contro terrorismo ed estremismo “e le politiche associate che hanno portato a schemi intrecciati di restrizioni gravi e indebite su una ampia gamma di diritti umani”, tra problematiche “di standard internazionali sui diritti umani” con concetti vaghi e aperti che danno ai funzionari ampi margini di discrezionalità.
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Il rapporto copre un periodo pluriennale durante il quale le autorità cinesi avrebbero detenuto arbitrariamente fino a 1,8 milioni di uiguri e di altre minoranze, secondo molti lavori investigativi di gruppi per i diritti umani, ricercatori, media e attivisti, tra torture, sterilizzazioni forzate e lavori di rieducazione, sradicamento delle tradizioni linguistiche, culturali e religiose, in quello che Usa e diversi parlamenti occidentali hanno definito genocidio e crimini contro l’umanità.

Il rapporto ha formulato anche 13 raccomandazioni a Pechino, incluso il rilascio tempestivo dei detenuti in centri vocazionali, prigioni o altre strutture.

Adrian Zenz, antropologo tedesco, è forse la persona più invisa a Pechino per aver sollevato in modo sistematico la questione, finendo per essere colpito da sanzioni. “Non è forte sotto tutti i punti di vista, ma è un ottimo inizio. Non credo che il rapporto sia il miglior risultato possibile, ma date le circostanze, è meglio di quello che avrebbe potuto essere”, ha ammesso con realismo. Su Twitter ha apprezzato il método principale seguito, in linea con il suo, ovvero “l’uso di documenti del governo cinese per provare le violazioni dei diritti”, senza artifici.

“Questo rapporto è estremamente importante e apre la strada a un’azione significativa da parte degli organismi dell’Onu e della comunità imprenditoriale”, ha commentato il presidente del Congresso uiguro mondiale Dolkun Isa.

Bachelet aveva promesso la diffusione del rapporto entro la fine del mandato a dispetto delle pressioni, difendendosi dalle accuse di indulgenza verso Pechino, affermando che il dialogo “non significa chiudere gli occhi, che siamo tolleranti, che distogliamo lo sguardo o che chiudiamo gli occhi. E ancor meno che non possiamo parlare francamente”. L’ex presidente del Cile era stata criticata per la visita fatta a fine maggio in Cina e nello Xinjiang tra varie restrizioni.

Aveva avuto anche una videoconferenza con il presidente Xi Jinping che aveva ammonito che le “questioni relative ai diritti umani non dovrebbero essere politicizzate, strumentalizzate o trattate con doppi standard”, osservando che la Cina ha “un percorso di sviluppo dei diritti umani che si adatta alle sue condizioni nazionali”.

Sophie Richardson, a capo di Human Rights Watch per la Cina, anche lei finita nelle sanzioni di Pechino, ha notato che il rapporto Bachelet non è quello che Xi “voleva un mese prima del 20° Congresso del Partito comunista”, quando il leader cercherà un inedito terzo mandato.

(di Antonio Fatiguso/ANSA).

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