Blitz contro la ‘ndrangheta, arrestato sindaco di Rende

Operazione contro la 'ndrangheta coordinata dalla Procura antimafia di Catanzaro. Carabinieri, polizia e Guardia di finanza stanno eseguendo oltre duecento ordinanze di custodia cautelare emesso dal Gip distrettuale del capoluogo su richiesta della Dda, diretta da Nicola Gratteri. (Uff stampa Polizia - Carabinieri - Guardia di finanza (NPK)
Operazione contro la 'ndrangheta coordinata dalla Procura antimafia di Catanzaro. Carabinieri, polizia e Guardia di finanza stanno eseguendo oltre duecento ordinanze di custodia cautelare emesso dal Gip distrettuale del capoluogo su richiesta della Dda, diretta da Nicola Gratteri. (Uff stampa Polizia - Carabinieri - Guardia di finanza (NPK)

COSENZA. – La più estesa indagine mai compiuta sulla ‘ndrangheta del Cosentino che ha evidenziato come le cosche, dopo anni di rivalità e di scontri, si fossero confederate dandosi una struttura di vertice unitaria, riconducibile ai due principali gruppi, il cosiddetto clan degli italiani, nelle sue varie componenti, e quello degli zingari, anch’esso con varie articolazioni.

A portare alla luce la nuova struttura criminale è stata l’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, con l’azione condotta all’alba da Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza. Un blitz che ha portato all’arresto di 189 persone – 139 in carcere e 50 ai domiciliari – a 12 obblighi di dimora e ad una misura interdittiva dello svolgimento di attività professionale. Provvedimenti che hanno colpito amministratori locali, professionisti, imprenditori ed esponenti della criminalità organizzata cosentina.

L’indagine ha permesso di fare luce su oltre 20 anni di attività illegali, perpetrate nel capoluogo bruzio da diverse organizzazioni criminali, frutto di un lavoro certosino durato anni da parte dei carabinieri del Comando provinciale di Cosenza, delle Squadre mobili di Cosenza e Catanzaro, del Servizio centrale operativo di Roma, dei finanzieri del Comando provinciale di Cosenza, del Nucleo di polizia valutaria di Reggio Calabria, del Gico del Comando provinciale di Catanzaro e dello Scico di Roma.

Le cosche si erano confederate perché per loro era più remunerativo. Infatti, appianato ogni contrasto, le ‘ndrine si spartivano i guadagni delle attività illecite, frutto del traffico e dello spaccio di droga, delle estorsioni, dell’usura e del gaming, settore, questo, che fa sempre più gola alla criminalità in quanto ritenuto estremamente redditizio. Così facendo, la criminalità organizzata riusciva a tenere sotto scacco ogni attività economica cittadina e dell’hinterland, grazie anche a imprenditori che da vittime diventavano carnefici, come quello che in cinque anni ha visto moltiplicare il proprio guadagno fino ad arrivare a 27 milioni grazie all’accordo con le cosche.

Ed una conferma di quanto fossero redditizie le attività illecite portate avanti è venuta dal sequestro preventivo d’urgenza disposto dal pm, che ha riguardato beni per un valore stimato in oltre 72 milioni di euro, tra i quali anche uno yacht e un aeromobile ultraleggero. Ma non solo droga e reati predatori. Secondo i magistrati della Dda di Catanzaro e gli investigatori di Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza, i vertici delle cosche avrebbero intessuto anche rapporti con amministratori locali.

E’ il caso del sindaco di Rende, Marcello Manna, noto avvocato penalista e presidente dell’Anci della Calabria (anche il suo predecessore, Gianluca Callipo, sindaco di Pizzo, era stato arrestato nel 2019 nell’ambito dell’operazione Rinascita Scott), finito ai domiciliari con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso. Insieme a Manna – espressione di una lista civica e vincitore alle comunali nel 2019 al ballottaggio, sostenuto da una coalizione eterogenea composta da forze di vario orientamento politico – ai domiciliari sono stati posti anche l’assessore ai Lavori pubblici di Rende, Pino Munno, e quello alla manutenzione ed al decoro urbano di Cosenza, Francesco De Cicco.

Nei confronti del primo viene ipotizzato il reato di scambio elettorale politico-mafioso, mentre per il secondo l’ipotesi dell’accusa è associazione per delinquere semplice, aggravata dal metodo mafioso, e intestazione fittizia. Munno e Manna, scrive il gip nell’ordinanza, “in cambio di un cospicuo pacchetto di voti, recuperato dal gruppo ‘ndranghetista, relativamente ai rispettivi ruoli pubblici, avrebbero favorito la sotto-articolazione ‘Gruppo D’Ambrosio’, mediante l’aggiudicazione di gare (in primis l’affare del ‘palazzetto’) e assicurando un perpetuo trattamento di favore comprensivo di lavori di urbanistica e di favoritismi lavorativi, nonché una serie di utilità (date/promesse) che determinavano i D’Ambrosio a rinunciare ai classici 100 euro per voto”.

(di Alessandro Sgherri/ANSA)

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