Bombe su Macallè, in Etiopia torna la guerra civile

Il primo Ministrio etiope, Abiy Ahmed in una foto d'archivio
Il primo Ministrio etiope, Abiy Ahmed in una foto d'archivio. EPA/STR

IL CAIRO.  – Dopo cinque mesi di tregua, la guerra civile etiopica scoppiata nel novembre di due anni fa nella regione dei Tigrè sta registrando una nuova fiammata.

Le forze aeree etiopi del primo ministro – e paradossalmente premio Nobel per la Pace 2019 – Abiy Ahmed hanno bombardato Macallè, il capoluogo dell’etnia ribelle facendo alcune vittime, tra cui due bambini, secondo un bilancio contestato da Addis Abeba.

Ad essere colpiti con “bombe”, secondo un portavoce del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (Tplf) sono stati verso mezzogiorno “un’area residenziale civile e un asilo”. Sono morte almeno quattro persone, tra cui due bambini, e nove sono rimaste ferite, secondo quanto ha riferito il direttore sanitario del principale nosocomio di Macallè, Kibrom Gebreselassie.

Il governo del premier Abiy ha ammesso di aver compiuto “azioni contro le forze militari” per reazione ad attacchi del Tplf e ha invitato gli abitanti del Tigrè “a stare lontano da aree dove si trovano attrezzature militari e strutture di addestramento” della formazione ribelle. Ad essere “presi di mira” sarebbero stati “solo obbiettivi militari”, ha sostenuto l’esecutivo in una nota ufficiosa smentendo le accuse tigrine di un bombardamento su zone residenziali con vittime civili: “sacche per cadaveri” mostrate in quelle zone sarebbero “false”, ossia una messa in scena.

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Il bombardamento arriva comunque due giorni dopo la ripresa dei combattimenti tra le forze governative e il Tplf al confine sud-orientale della regione ribelle del nord dell'Etiopia, scontri che hanno posto fine alla tregua iniziata a marzo. Da quando è scoppiata nel novembre 2020, la guerra ha causato diverse migliaia di vittime e più di due milioni di sfollati.

Centinaia di migliaia di etiopi sono precipitati in condizioni prossime alla fame, secondo le Nazioni Unite.

Da molti osservatori il conflitto è visto come lo scontro fra il tentativo del premier di superare l'attuale federalismo etnico e le resistenze di un'etnia, quella tigrina, che pur costituendo solo il circa 6% dei quasi 120 milioni di etiopi non si rassegna a un ridimensionamento dell'egemonia politico-economica che aveva esercitato sull'intera Etiopia per quasi tre decenni, sino all'avvento di Abiy. Dall'altro ieri molti paesi e organizzazioni internazionali con Onu, Stati Uniti  e Unione europea in testa hanno chiesto una cessazione delle ostilità e una soluzione pacifica del conflitto.

(di Rodolfo Calò/ANSA)

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