Guerra costringe Kiev a cedere Eurovision a Londra

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LONDRA.  – La guerra detta la sua legge anche alla musica. Sarà il Regno Unito secondo classificato all’edizione del 2022, e non l’Ucraina vincitrice, a ospitare l’Eurovision dell’anno venturo, festival europeo per antonomasia della canzone ed evento televisivo assai ambito.

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L'annuncio è stato dato con orgoglio, ma anche con toni da morte nel cuore, da Nadine Dorries, ministra della Cultura del governo britannico e pretoriana fedelissima del premier uscente Boris Johnson, dopo un accordo ad hoc con la leadership di Kiev: rassegnatasi a rinunciare di fronte alla prospettiva di un devastante scenario di conflitto incancrenitosi sul terreno dopo l'invasione di Mosca di fine febbraio e destinato a durare chissà quanto. "In seguito alla richiesta della European Broadcasting Union e delle autorità ucraine – ha precisato Dorries da Londra – sono lieta di annunciare che la Bbc ha convenuto di subentrare per ospitare il festival dell'anno prossimo".

"Mi duole solo – non ha mancato di notare – che tutto sia dovuto alla prosecuzione del bagno di sangue perpetrato dalla Russia e al fatto che questo renda impossibile all'Ucraina organizzare l'evento, come le sarebbe spettato". "In quanto Paese ospitante – si è affrettata del resto a chiarire – noi onoreremo lo spirito e le diversità che animano la competizione; e, più importante di tutto, faremo risaltare la recente vittoria dell'Ucraina a Eurovision 2022 e la creatività degli ucraini".

“L’Eurovision Song Contest 2023 non si svolgerà in Ucraina, ma in appoggio all’Ucraina; e siamo grati ai nostri partner britannici per la solidarietà che intendono mostrarci”, ha fatto poi eco Mykola Cernotytsky, numero uno dell’ente televisivo ucraino Ua-Pbc, in un comunicato congiunto diffuso con Ebu e Bbc.

La Gran Bretagna è stata teatro della kermesse l’ultima volta un quarto di secolo fa, nel 1998 a Birmingham. Mentre il governo Tory s’era già offerto diverse settimane orsono di sostituire “amichevolmente” l’Ucraina, ove fosse stato chiesto.

Disponibilità che inizialmente BoJo aveva peraltro congelato, insistendo a margine di ripetuti colloqui col presidente Volodymyr Zelensky sul pieno diritto della repubblica ex sovietica di vedersi attribuito un riconoscimento “meritato” sul palco; e di avere tutto il tempo necessario per decidere se ritenersi in grado di farvi fronte malgrado la tragedia bellica o meno.

Finché non è stata Kiev ad arrendersi all’inevitabile passo indietro. Con un passaggio di testimone all’isola che in qualche modo rappresenta un regalo di addio (o almeno di arrivederci) “all’amico Boris”: il leader occidentale con il quale Zelensky ha mostrato in questi mesi più sintonia, e dal cui Paese ha ricevuto un sostegno senza pari – in particolare in termini di armi e addestramento militare – fra i partner europei della Nato.

Amico che dopo essere stato costretto alle dimissioni da leader del Partito conservatore di maggioranza fra scandali  crisi e beghe intestine, dal 5 settembre dovrà lasciare pure Downing Street. Sebbene non senza la soddisfazione di vedersi onorare da vivo in Ucraina addirittura con la dedica di una strada: quella che pochi giorni fa l’amministrazione comunale della cittadina di Chust, in Transcarpazia, ha stabilito d’intitolargli niente meno che al posto di Lev Tolstoj, cancellato suo malgrado dalla toponomastica in quanto figlio dell’ormai odiata Russia.

(di Alessandro Logroscino/ANSA).

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