Missione di Draghi, sprint di Algeri sulle forniture gas

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, incontra il Presidente della Repubblica algerina democratica e popolare Abdelmadjid Tebboune, per il IV Vertice intergovernativo italia-Ageria
Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, incontra il Presidente della Repubblica algerina democratica e popolare Abdelmadjid Tebboune, per il IV Vertice intergovernativo italia-Ageria. (Ufficio stampa Presidenza del Consiglio)

ALGERI. – Rimanere concentrati sulle “cose da fare”. Mentre a Roma si consuma un’altra giornata senza segnali chiari sulle scelte dei partiti, Mario Draghi vola ad Algeri, partner “strategico” per l’energia ma anche per la stabilità dell’area del mediterraneo, e non fa alcun accenno alle evoluzioni del quarto giorno di crisi. Novità “sostanziali”, ammettono anche i pontieri al lavoro in queste ore per “salvare il soldato Draghi”, ancora non se ne vedono. E nemmeno quel ricomporsi delle “condizioni” che hanno dato vita alle larghissime intese, e che sole potrebbero convincere il premier a tornare sui suoi passi.

Draghi arriva al palazzo presidenziale visibilmente scuro in volto. Ma l’umore, assicurano i suoi collaboratori, “è buono”. Sorride salutando il suo ospite, il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, che di lì a poco annuncerà un nuovo accordo “importante”, questa volta sul gas naturale, che l’Eni verrà a firmare nelle prossime ore. Già ora l’Algeria “è il primo fornitore” per l’Italia, ricorda Draghi nel suo breve discorso, e sta “accelerando” sugli approvvigionamenti rispetto alle prime intese di aprile.

Alla firma dei 15 accordi con gli algerini, che vanno oltre il gas e guardano “al futuro”, alla sfida delle rinnovabili ma anche alle grandi opere, alla lotta alla corruzione (e alla radicalizzazione in carcere) per spingere gli investimenti, scatta un applauso dei ministri di Algeri cui si uniscono gli italiani. Il premier li ferma, fa per andarsene ma deve sfilare, a fianco a Tebboune, in mezzo ai giornalisti. Sempre in silenzio. Un saluto e niente più.

I ministri, una pattuglia di sei super governisti (Di Maio, Bonetti, Cartabia, Lamorgese, Giovannini e Cingolani), minimizzano. “Era forse più concentrato del solito” dice a taccuini chiusi più di uno. Tutta la delegazione del governo si tiene comunque lontana dalle telecamere. Di Maio scherza con i cronisti – “Sono dimagrito? Già da tempo, vi assicuro che si continua a pranzare e cenare in grande serenità” anche in queste settimane – ma si guarda bene dal lasciarsi sfuggire il benché minimo giudizio su una situazione che pure non ha mancato di criticare aspramente negli ultimi giorni, guardando soprattutto al comportamento dei suoi ex amici grillini.

La giornata vista da Roma resta “interlocutoria”. C’è la trattativa, certo, tra i partiti. I messaggi però restano contraddittori, “tutto e il contrario di tutto”, fino al balletto tra Camera e Senato come prima sede per le comunicazioni, con uno spettacolo che così non aiuta a sgombrare il campo, a recuperare quell’agibilità politica che, sola, potrebbe portare mercoledì a un esito diverso dalla conferma delle dimissioni.

Nel suo discorso, ricorda chi tiene il filo con il premier anche in queste ore, Draghi ha posto paletti chiari. Il patto di fiducia. La maggioranza di unità nazionale che “non c’è più”. E che, osservano a Palazzo Chigi, continua a non esserci, perlomeno nelle dichiarazioni. Servono “fatti concreti” che ancora, in sintesi, non si vedono, con il Movimento che non ha ancora preso una posizione definitiva e, dall’altro lato, Lega e Forza Italia, che continuano ufficialmente a spingere per il voto, pure alle prese con le differenti posizioni interne.

Restano ancora 24 ore perché, sono convinti in molti nei partiti, il premier “non verrà a rischiare la fiducia in Aula”. Al momento non ci sono le “condizioni”. Non c’è quel “fatto politico” nuovo e nemmeno , al momento, si intravede.

(dell’inviata Silvia Gasparetto/ANSA)

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