Pressing Colle e partiti, ma Draghi irremovibile: “Lascio”

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, durante la conferenza stampa con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, Daniele Franco, il Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, e il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani.
Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi. (ANSA)

ROMA. – L’agibilità politica non c’era più. E restare significava solo farsi strattonare e logorare dai partiti. Senza più riuscire a “fare” le cose di cui ha bisogno il Paese. Nonostante il pressing del Colle, della politica, e il sostegno delle cancellerie, europee e non solo, Mario Draghi resta irremovibile: mercoledì sarà il giorno del suo congedo dal Parlamento, quello che sancirà, definitivamente, la conclusione dell’esperienza delle larghissime intese.

Certo, il premier resterà al suo posto per gli affari correnti. E proseguirà nel percorso di confronto con le parti sociali per mettere a punto il promesso “corposo” decreto anti-crisi, per tamponare ancora i rincari di bollette e benzina, e per attenuare gli effetti dell’inflazione su famiglie e imprese. Ma la manovra, almeno questo è l’orientamento attuale, spetterà al nuovo governo.

Per tutto il giorno a Palazzo Chigi non si vede quasi nessuno. Il premier resta a Roma ma per andare, così come Sergio Mattarella, a rendere omaggio all’amico Eugenio Scalfari alla camera ardente in Campidoglio. Qualche sorriso, un saluto ai fotografi ma nemmeno una parola. Certo il telefono sarà squillato di continuo, ma non arrivano conferme di contatti che pure ci sarebbero stati, non solo con le forze politiche ma anche con interlocutori internazionali.

Gli appelli a rimanere al suo posto, così come gli attestati di stima che arrivano da Berlino a Washington, non spostano però l’ex banchiere dalla sua decisione. Lunedì volerà ad Algeri con una pattuglia di ministri, per chiudere una serie di accordi con gli algerini non solo in materia di gas. Una missione inizialmente prevista in due giorni che viene invece concentrata in un giorno solo, alimentando le ipotesi di un anticipo delle sue comunicazioni che invece dovrebbero rimanere fissate a mercoledì.

Una volta spiegate le sue ragioni, e rivendicato il tanto lavoro fatto in 17 mesi per far fronte alla pandemia, e poi alla guerra e alle sue conseguenze economiche, il premier salirà al Colle, questo lo schema, per rassegnare le sue dimissioni. Senza aspettare il voto.

Certo i tentativi di fargli cambiare idea si moltiplicheranno nei prossimi 4 giorni – dalla petizione di Iv al tentativo del Pd di “ricompattare” la larghissima maggioranza – ma una volta constata la definitiva indisponibilità la parola spetterà a Mattarella.

Elezioni anticipate il 2 o il 9 ottobre, il tam tam tra deputati e senatori, che nei capannelli ammettono con sconforto che oramai non si intravedono davvero spiragli per un esito diverso. L’ipotesi di un “traghettatore”, magari l’attuale ministro dell’Economia Daniele Franco, su cui pure sarebbero stati sondati i partiti, per arrivare almeno a fine anno e mettere in sicurezza i conti, non avrebbe trovato sostegno tra le forze politiche.

“Se non ci è riuscito Draghi – osserva più di un parlamentare – impossibile che ce la faccia Franco, nessuno ci starebbe”. Avere Draghi fino all’autunno, osserva un senatore, resta comunque una “garanzia”. Per andare al voto e correre poi per avere Camere e governo nel pieno delle funzioni almeno attorno alla metà di novembre. E consentire così di varare la manovra, anche “light”, e scongiurare l’esercizio provvisorio.

(di Silvia Gasparetto/ANSA)

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