Volontario Gb muore in cella in Donetsk, ira Londra

Mosca: il Cremlino
Mosca: il Cremlino

LONDRA.  – “Un volontario”, nelle rassicurazioni di Londra; “un mercenario”, nella narrativa di Mosca. In ogni caso un morto in più, nella guerra che insanguina l’Ucraina.

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É Paul Urey, cittadino britannico di 45 anni, spirato in circostanze ancora tutte da chiarire e confermare nelle mani dei filorussi dell'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk (Dpr), dalle cui milizie era stato catturato mesi fa – come altri stranieri – sulla linea del fronte aperto il 24 febbraio con l'invasione russa ordinata da Vladimir Putin.

Una morte che il governo del dimissionario Boris Johnson imputa alla responsabilità ultima del Cremlino, chiamando a risponderne l'ambasciatore della Russia alla corte di San Giacomo ed evocando rese dei conti di là da venire.

La notizia del decesso di Urey – originario di Warrington, nella contea inglese del Cheshire, e fatto prigioniero ad aprile con l'accusa di essere "una spia" mascherata da attivista umanitario assieme al connazionale Dylan Healy presso Zaporizhzhia, città del sudest ucraino in cui sorge una mega centrale nucleare e dove allora infuriavano pesanti combattimenti – è arrivata dai separatisti.

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A credere alla loro versione, diffusa da Darya Morozova, difensore civico locale, e dalla “ministra degli esteri”, Natalia Nikonorova, sarebbe rimasto vittima di patologie pregresse. "Insufficienza coronarica complicata da edema polmonare e danni cerebrali", stando al bollettino medico firmato Dpr: aggravate "dallo stress" della prigionia e "dall'indifferenza" delle autorità britanniche, secondo Morozova, a dar retta alla quale l'uomo non avrebbe patito a maltrattamenti carcerari, ma anzi ricevuto "tutte le cure mediche" disponibili.

Una ricostruzione a cui a Londra non crede nessuno. A cominciare da Downing Street e dal Foreign Office, dove è stato immediatamente convocato l'ambasciatore russo, Andrei Kelin. Al diplomatico è stato fatto presente che il Regno Unito considera lo Stato russo, e solo lo Stato russo, "responsabile" della sorte di Urey.

La cui etichetta di volontario continua ad avere la copertura di una ong non molto nota, Presidium Network, secondo la quale Paul era davvero impegnato in operazioni di assistenza umanitaria, seppure non autorizzate in un territorio considerato ufficialmente off limits dal governo dell'isola per i sudditi di Sua Maestà fin dall'inizio dell'invasione russa la notte fra il 23 e il 24 febbraio.

L'ong ha riferito tra l'altro come la madre di Paul sia in queste ore "angosciata e sotto shock".  Mentre dalle file del governo Tory si è fatta sentire la voce della ministra degli Esteri, Liz Truss. "Sono sgomenta – il suo avvertimento verso Mosca –  per le notizie sulla morte del volontario britannico Paul Urey, catturato mentre svolgeva un lavoro umanitario. Il governo russo e i suoi complici continuano a commettere atrocità, delle quali i responsabili saranno chiamati a rendere conto".

Parole che rappresentano un monito, ma pure un modo per ribadire la linea della fermezza da parte di Truss, fra i 5 pretendenti attualmente in corsa per la successione a Johnson come futuro premier del Regno. In un contesto nel quale la ministra non ha peraltro mancato di prestare il fianco a qualche imbarazzo nel suo recente passato di titolare del Foreign Office dall'immagine volitiva, ma incapace secondo i detrattori di distinguere il Mar Nero dal Mar Baltico.

Ed è stata al centro di più d'una polemica proprio sul dossier “foreign fighters”, per aver dichiarato poco dopo il via alle ostilità di febbraio di "comprendere" le ragioni di coloro che dall'estero si fossero uniti alla resistenza: salvo rimangiarsi tutto dopo le puntualizzazioni dei vertici militari e dello stesso BoJo sulla linea ufficiale di Londra, secondo cui andava ritenuto "illegale" per i connazionali arruolarsi – o anche solo viaggiare – nell'Ucraina in guerra.

(di Alessandro Logroscino/ANSA).

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