La parabola dell’euro-dollaro: con cambio, crisi e parità

Dollari americani

NEW YORK.- L’euro tocca la parità: per alcuni minuti vale un dollaro poi recupera. Un uno a uno temporaneo che è solo un assaggio di quello che potrebbe avvenire. Gli analisti prevedono infatti che per agosto la moneta unica si attesterà intorno a quota 0,95 riflettendo i problemi non solo congiunturali di Eurolandia ma anche quelli strutturali che si trascinano da anni e che, complice la fiammata dell’inflazione e la guerra in Ucraina, sono emersi con forza.

Nei 23 anni di storia del rapporto euro-dollaro, la moneta unica ha sperimentato periodi di forte crescita toccando il suo massimo nel 2008, in piena crisi subprime negli Stati Uniti, quando volò a 1,6 dollari. Spaventati dalla bancarotta di Lehman Brothers e dall’impatto sull’economia americana, gli investitori avevano cercato rifugio nella moneta unica premiandola con alcuni anni di distanza rispetto alla sua creazione.

L’euro è stato ufficialmente introdotto l’1 gennaio 1999 a un concambio di 1.936,27 delle vecchie e care lire italiane. Un periodo che sembra ormai lontano anni luce: la crisi del debito in Europa nel 2010 e 2011 ha portato per la prima volta alla ribalta le debolezze di Eurolandia mostrando agli investitori come fra la Germania e la Grecia, tutte e due membri dell’euro, esistevano delle differenze. E delle differenze profonde che si sono fatte sentire sulla moneta unica tanto da far temere per la sua esistenza.

Ci volle l’intervento a gamba tesa dell’allora presidente della Bce Mario Draghi per risollevarne le sorti. Era il 26 luglio del 2012 quando da Londra pronunciò la storica frase ‘whatever it takes’ aprendo una nuova fase per la moneta unica e la Bce, trasformata da banca centrale dall’azione limitata a una in prima linea protagonista, a volte suo malgrado, della crisi europea.

Dalla crisi del debito europea l’euro non è mai più decollato nei confronti del dollari come nel 2008, l’anno del crack di Lehman e dell’avvio delle misure monetarie non convenzionali della Fed. A guidare la banca centrale americana c’era Ben Bernanke che, a colpi di tassi zero e di ripetuti quantitative easing accompagnati dall’Operazione Twist per allungare la scadenza dei titoli in portafoglio, ha consentito alla Fed di affermarsi come il ‘prestatore di ultima istanza’ del mondo.

Proprio le politiche della banca centrale americana e della Bce di Christine Lagarde sono in parte le ‘responsabili’ del recente indebolimento dell’euro. La Fed con Jerome Powell ha già lanciato un ciclo di rialzi dei tassi di interesse aggressivo nel tentativo di controllare l’inflazione. L’Eurotower lo farà a breve. Ma i ritmi e di tempi diversi, specchio di economie differenti, ha aperto la corsa per il dollaro sempre più considerato il bene rifugio per eccellenza. La tempistica di Fed e Bce riflette una pandemia che ha colpito duramente l’Europa – già caratterizzata da tassi di crescita ben inferiori agli Stati Uniti e da varie velocità fra i diversi paesi – e una guerra improvvisa nel Vecchio Continente, alle prese con una crisi energetica inattesa solo qualche mese.

Mentre le chance di una recessione globale aumentano, gli analisti si attendono che l’economia europea rallenterà e si contrarrà prima degli Stati Uniti rendendo quindi il dollaro più attraente per gli investitori. L’euro si indebolirà ulteriormente nei confronti del dollari principalmente per tre motivi: il primo – spiega Nomura – è quello dei flussi di gas dalla Russia e le ombre sul Nord Stream.

Poi ci sono il Covid in Cina, grande partner commerciale europeo, e i rischi di una recessione europea più forte di quella americana. Un mix che peserà sull’euro, già calato dall’inizio dell’anno del 12% nei confronti del dollaro in un trend che sembra destinato a continuare rendendo il Vecchio Continente più ‘economico’ e quindi sempre più meta preferita delle vacanze adegli americani.

(di Serena Di Ronza/ANSA)