Gran Bretagna paralizzata dallo sciopero dei trasporti

La stazione dei treni di Waterloo Station a Londra. Pacchi bomba
La stazione dei treni di Waterloo Station a Londra. EPA/ANDY RAIN

LONDRA.  – La paralisi e il caos. É iniziata oggi una settimana di passione per i trasporti nel Regno Unito segnata dal mega sciopero promosso dai sindacati dei ferrotranvieri: destinato ad articolarsi in 3 giorni alternati di astensione dal lavoro (oggi, giovedì e sabato), in modo da amplificare l’impatto sul servizio dopo il fallimento delle trattative con i vertici delle principali compagnie dei treni e con il Network Rail, gestore pubblico della rete.

Uno sciopero che sarebbe esagerato paragonare al drammatico braccio di ferro a oltranza perso dai minatori d’Oltremanica contro il governo conservatore della lady di ferro Margaret Thatcher a metà anni ’80, ma che in queste dimensioni non si vedeva da tre decenni; e che potrebbe annunciare il sorgere di un’estate di scontento sull’isola, investita come altri Paesi dall’impennata dell’inflazione sulle buste paghe, dal caro bollette dell’energia, dai contraccolpi della guerra in Ucraina e dell’effetto sanzioni, dai venti globali di crisi che hanno già fatto impantanare la ripresa post Covid britannica e proiettano ombre di recessione per il 2023.

Forti del loro potere contrattuale, la Rmt – trade unión guida del settore trasporti – e altri colossi sindacali hanno scommesso sulla linea dura. Mentre, sul fronte opposto, il premier Boris Johnson ha raccolto per ora la sfida, convinto – nonostante i rischi politici d’un clima da scontro – di poter cavalcare la furia della maggioranza silenziosa degli utenti colpiti dai disagi per recuperare consenso attorno al proprio elettorato tradizionale dopo le tegole del Partygate e di altri sospetti scandali recenti o passi falsi vari.

Il risultato è stata una protesta di massa, almeno all’esordio, con quattro quinti dei treni cancellati, un’adesione vasta fra i 50.000 dipendenti delle diverse compagnie ferroviarie coinvolte, stazioni semi deserte e milioni di passeggeri in difficoltà. Tanto più che per la sola giornata odierna s’è aggiunto pure uno sciopero fra gli addetti alla metropolitana di Londra in grado di bloccare metà delle linee e d’innescare un assalto ai bus, a taxi e Uber (le cui tariffe sono immediatamente salite, secondo le denunce di non pochi passeggeri), l’intasamento di auto private e biciclette nelle strade e l’incremento delle assenze dal lavoro in presenza.

Uno scenario dinanzi al quale Johnson, tornato a presiedere il consiglio dei ministri all’indomani di una piccola operazione alle vie nasali, si è limitato a lanciare un appello a “un compromesso sensato”; non senza attaccare “i baroni rossi” delle centrali sindacali quali istigatori di una protesta a suo dire “iniqua, innecessaria e controproducente” per gli stessi lavoratori. Mentre il ministro dei Trasporti Grant Shapps, dopo essersi rifiutato di mediare per non esporre il governo al rischio di dover fare poi da schermo a tutte le categorie con maggiore potere negoziale e mettere sul piatto il “denaro dei contribuenti”, ha rincarato la dose accusando chi ha incrociato le braccia di “indifferenza” verso le esigenze, talora le emergenze, della massa dei sudditi di Sua Maestà.

Polemiche che mettono in imbarazzo la leadership del Labour neomoderato di Keir Starmer, critica verso il governo, ma non fino al punto da sostenere in piazza uno sciopero a rischio d’impopolarità. E a cui invece i capi del sindacato, in primis il battagliero Mick Linch, numero 1 della Rmt, replicano a tono.

Insistendo sulla richiesta-manifesto di un aumento secco dei salari dell’11% quale risposta “minima” a un’inflazione già avviata verso il 10, oltre a puntare il dito tanto sulle aziende, per gli esuberi post-pandemia e per il deterioramento delle condizioni di lavoro, quanto sull’atteggiamento di ritrovata ostilità verso la working class contestato alla compagine Tory di BoJo. Atteggiamento che non potrà non radicalizzare secondo loro le ulteriori vertenze già messe in cantiere per i prossimi mesi: incluso da altre categorie vitali come gli infermieri del servizio sanitario nazionale (Nhs), gli insegnanti o gli avvocati.

(di Alessandro Logroscino/ANSA).

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