Lyman senza tregua attende l’avanzata russa

Difese anti-carrarmati su una strada di Kharkiv, Ucraina.
Difese anti-carrarmati su una strada di Kharkiv, Ucraina. EPA/Andrzej Lange POLAND OUT

KRAMATORSK. – “Arriveranno anche a Lyman. Possiamo solo sperare che arrivino altre armi. O che muoia Putin”. Oleksandr fuma una sigaretta dopo l’altra appollaiato in una trincea scavata nella foresta intorno a Lyman, Oblast di Donetsk.

Loro sono i battaglioni russi che premono a cinque chilometri dalla città, svuotata di almeno la metà dei suoi ventimila abitanti. Negli ultimi giorni l’esercito russo ha intensificato l’offensiva in questo quadrante ed in particolare a Lyman, porta d’accesso per avanzare verso Sloviansk. Brucia ancora la disfatta nella battaglia di Kiev, brucia ancora quella dell’affondamento del Moskva. Il Cremlino è affamato di trofeo da esibire il fatidico 9 maggio, quando suonerà la grancassa della propaganda in occasione della giornata della Vittoria sulla Germania nazista.

Li cerca a sud, da Mariupol la martire a Kherson la filorussa ribelle. Li cerca ad est, in Donbass, dove, racconta ancora Oleksandr, le forze russe “stanno distruggendo di tutto prima di entrare nei villaggi”.

Sono giorni di sangue quelli vissuti a Lyman, martellata senza sosta dall’artiglieria. E mentre i russi calano da nord, gli ucraini si riposizionano da sud. Lungo la strada che collega Dnipro a Kramatorsk c’è un grande movimento di uomini, carri armati, artiglieria, tronchi di albero, carichi di combustibile per rafforzare l’esercito ucraino nella battaglia cruciale in Donbass.

Lyman vede il cerchio stringersi intorno. Difficile spostarsi, impossibile comunicare con l’esterno. Le linee telefoniche sono saltate, cibo e carburante sono merce rara a queste latitudini. Il loro ponte verso l’esterno sono le forze armate: dentro gli aiuti umanitari, fuori i corpi dei feriti.

All’altezza di Raihorodok, sulla strada per Lyman, un gruppo di ambulanze soccorre i feriti evacuati dalle forze armate ucraine. Da lì la corsa in ospedale, verso Kramatorsk se si tratta di un’emergenza. Più lontano, a Dnipro, per i pazienti in condizioni meno gravi.

Dallo stesso punto, parte in direzione opposta la polizia ucraina, carica di aiuti umanitari. “Una pratica giornaliera”, spiega Ihor, che si catapulta nel van a tutta velocità per schivare il fuoco dell’artiglieria. Il punto di raccolta è un piccolo negozio della città spettrale. Arrivano altri militari, altri aiuti. Pane, pasta, acqua.

Seguono un percorso lunghissimo che li porta dall’Europa all’Ucraina occidentale poi via via verso est, come un collo di bottiglia che si restringe sempre più nei territori teatro di combattimenti. In pochi minuti si sparge la voce tra gli abitanti intrappolati a Lyman. Li vedi sgattaiolare fuori dai palazzoni sovietici alla spicciolata per accaparrarsi un po’ di cibo e acqua. Non c’è tempo per i convenevoli. Spasiba, un sorriso di gratitudine e via a rintanarsi.

Olga, gli occhi pesanti di chi non dorme da giorni, si trascina a fatica al punto di raccolta. “Sono i giorni più difficili da quando questo incubo è iniziato”, racconta la babushka. Il suo desiderio è scappare, raggiungere sua figlia e i suoi nipoti, “abitano a Kramatorsk, non distante, ma è pericoloso mettersi in macchina”. Attraversare poco più di quaranta chilometri sull’unica strada ancora accessibile da Lyman è una roulette russa. L’altra non è percorribile: i missili russi hanno distrutto il ponte, tagliando l’accesso alla città.

Domenica scorsa un altro ponte, quello ferroviario, è stato distrutto sotto i colpi dell’artiglieria forse dagli stessi ucraini che cercherebbero in questo modo di rallentare l’avanzata russa in città. “Non mi importa di morire, spero solo che il mio corpo non venga gettato in una fossa”, dice Olga, mentre torna a casa in attesa dell’inferno.

(di Alessandra Briganti/ANSA).

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