I profughi a Zaporizhzhia, “ma spariti 11 bus”

Un uomo con una bambina vengono evacuati da Irpin. (ANSA)

ZAPORIZHZHIA.  – Nadezda ha un pugno di sogni tra le mani: trovare sua zia, riabbracciare i suoi parenti e arruolarsi nell’esercito ucraino. Capelli lunghi d’oro e sguardo di ghiaccio, è una dei 127 civili arrivati a Zaporizhzhia con il convoglio umanitario organizzato dalle Nazioni Unite in coordinamento con la Croce rossa.

Donne, bambini e anziani, per lo più, evacuati dalle viscere dell’acciaieria di Azovstal, ultima roccaforte della resistenza ucraina a Mariupol. Una città ormai stremata da cui tutti cercano di fuggire tra i pericoli. E da dove non tutti arrivano a destinazione, come quelli a bordo dei bus di cui si sono perse le tracce.

Quattordici sono partiti in direzione Zaporizhzhia, ma solo tre avrebbero raggiunto il territorio controllato da Kiev. Gli altri 11 sarebbero “scomparsi da qualche parte”, ha detto il sindaco della città portuale, Vadym Boichenko,  denunciando il fatto che i veicoli con i profughi si perderebbero “in centri di filtrazione: gli occupanti – è l’accusa – rapiscono i nostri residenti”.

Un giallo che si aggiunge ad una giornata già tesa per i ritardi registrati nell’arrivo del convoglio umanitario, prima evacuazione da quando, una settimana fa, il presidente russo, Vladimir Putin, ha ordinato la chiusura dell’impianto siderurgico.

Un’odissea durata più di 48 ore e segnata da tensioni e controlli capillari, sfinenti. E questo nonostante il corridoio umanitario fosse stato concordato, seppure a fatica, tra Kiev e Mosca con la mediazione dell’Onu. Il convoglio, sotto l’egida delle Nazioni Unite e della Croce rossa, ha dovuto attraversare ventisei posti di blocco russi prima di approdare al porto sicuro di Zaporizhzhia, capoluogo dell’omonimo Oblast che da mesi accoglie i rifugiati in fuga dal sud e dall’est del Paese.

“Abbiamo fatto una grande deviazione, forse volevano evitare che vedessimo qualcosa, poi ci hanno fermato ai checkpoint. E questo è tutto. Solo per divertimento” racconta Nadezda. La tappa più difficile, dice, quella in un cosiddetto campo russo di filtrazione, a Bezymenne. I profughi sono stati fatti scendere uno a uno dagli autobus. Poi i controlli e gli interrogatori, filmati con una telecamera. “Ci accompagnavano al bagno con le pistole puntate contro”, spiega con precisione la ragazza.

Alla fine a Zaporizhzhia arriveranno in tutto 69 civili evacuati dall’acciaieria, gli altri 32 hanno preferito restare a Mariupol per una loro scelta, spiega una funzionaria dell’Onu:

“La loro preoccupazione – dice – era quella di ricongiungersi ai familiari rimasti in città”. Al convoglio si sono unite altre 58 persone provenienti da aree vicine a Mariupol, arrivate qui in auto private. Dei civili evacuati, una è stata detenuta dalle forze russe, perché, spiega un funzionario dell’Onu, sospettata di essere una combattente.

Tra lacrime di gioia e disperazione, nel piazzale antistante il centro commerciale di Zaporizhzhia i profughi ripercorrono i momenti trascorsi nei cunicoli dell’acciaieria. Nadezda racconta di essersi ritrovata lì “per motivi di sicurezza. Quando la città è stata presa di mira – ricorda – sono stata portata allo stabilimento, ci avevano detto che era un posto sicuro. E lo è stato fino a un certo punto, ma poi siamo stati bloccati e non siamo riusciti ad uscire a causa dei continui bombardamenti”.

Un tempo infinito quello passato nei sotterranei dell’acciaieria con il suono martellante dei bombardamenti. “Non abbiamo visto la luce per due mesi” dice ancora Nadezda, fortunata, aggiunge, perché “lì c’erano i nostri soldati a prendersi cura di noi, ci davano acqua e cibo”.

Di Mariupol ora resta solo un buco nero. “Era una città luminosa, ora è ridotta in cenere – sospira Nadezda – Abbiamo visto le nostre case distrutte, accartocciate su se stesse: è tutto spaventoso”.

(di Alessandra Briganti/ANSA).

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