Biden attacca Xi: “Siamo in guerra con le autocrazie”

Biden e Xi si stringono le mani in una foto d'archivio. (ANSA) EPA/LINTAO ZHANG / POOL

WASHINGTON.  – “Xi non ha un un solo osso democratico nel suo corpo”: dopo le accuse senza precedenti contro Vladimir Putin, Joe Biden passa anche all’attacco personale del presidente cinese, con cui ha una certa familiarità essendo il leader americano che ha passato più tempo con lui.

“Penso che dal 2020 in poi siamo in una battaglia tra democrazie e autocrazie”, ha rilanciato parlando ad una raccolta fondi a Portland organizzata da Brad Smith, presidente di Microsoft. Biden ha ricordato che dopo la sua vittoria Xi lo chiamò e nelle tre ore di conversazione ricordò al leader ciñese i valori degli Usa e gli assicurò che non avrebbe smesso di criticarlo sui diritti umani.

Il commander in chief non ha risparmiato neppure lo zar: “Quando sono stato eletto, Putin pensava che avrebbe distrutto facilmente la Nato e invece ha ottenuto proprio ciò che non voleva”, e cioè il possibile allargamento dell’Alleanza alla Finlandia e alla Svezia. Una prospettiva da brividi per il leader del Cremlino, con il rischio di essere impegnato su un doppio fronte, di vedere diventare il mar Baltico un mare atlantico e l’enclave di Kaliningrad circondata dagli alleati non solo via terra ma anche via mare.

Ma nel frattempo Biden non perde di vista le mosse del più prezioso alleato di Putin, ossia Xi, che si sta muovendo nel Pacifico dopo il lancio di Aukus, la nuova alleanza tra Usa, Gran Bretagna e Australia per contenere la Cina in questa regione. Proprio nei giorni scorsi Pechino e le isole Salomone, un arcipelago vicino all’Australia, hanno siglato un patto di sicurezza dai contorni poco “trasparenti” che autorizza il dispiegamento di polizia e navi cinesi. Una mossa che preocupa non solo Washington ma anche Parigi (per i vicini territorio francesi della Nuova Caledonia) e Canberra.

E che ha preso in contropiede la delegazione Usa sbarcata oggi proprio nelle isole Salomone, dopo le tappe in altri territori chiave del Pacifico, tra cui Hawaii, Fiji, Papua Nuova Guinea. I dirigenti americani hanno cercato di ricucire, promettendo di riaprire presto un’ambasciata e altri interventi di cooperazione. Ma hanno anche ammonito che gli Stati Uniti “risponderanno di conseguenza” se saranno fatti passi per stabilire una base o una presenza militare permanente.

Intanto Usa e Ue mantengono alta la pressione su Pechino mettendola in guardia in una nota congiunta sulle possibili conseguenze nelle relazioni nel caso aiutasse in qualsiasi modo Mosca nel conflitto in Ucraina. E accelerano sulla consegna di armi offensive a Kiev, convinti che le prossime settimane saranno decisive non solo per l’esito della guerra ma anche della futura mappa europea.

Per questo il capo del Pentagono Lloyd Austin ospiterà martedì prossimo nella base aerea Usa di Ramstein in Germania un summit a sostegno della difesa dell’Ucraina.

Il vertice, al quale sono stati invitati Paesi Nato e non, si presenta come conferenza di donatori. Ma le sue ambizioni sono più ampie perché vuole concentrarsi non solo sulle necessità militari a breve termine ma su “una più larga visione delle esigenze difensive di Kiev, andando oltre la guerra in corso”.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA).

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