La Fed accelera, verso una stretta da mezzo punto

Il presidente della Fed Jerome Power

ROMA.  – La Fed va in modalità “avanti tutta” sulla stretta monetaria, con il presidente Jay Powell che dà la sua benedizione ad un rialzo dei tassi aggressivo, da mezzo punto, al meeting di maggio. E la Bce si mette in coda, con un rialzo dei tassi sul tavolo già a luglio.

É la guerra lanciata da Mosca contro l’Ucraina ad aver sconvolto i piani delle banche centrali, con la Fed che ora con un’inflazione all’8,5% diventata un tema políticamente incandescente punta al “front-loading”, l’anticipazione delle mosse di politica monetaria che fino a febbraio apparivano più graduali.

Le aspettative erano che dopo il picco invernale i prezzi ora rallentassero. Aspettative deluse con la fiammata energetica causata da Putin, ammette Powell intervenendo a un panel del Fmi con acanto la presidente della Bce Christine Lagarde e la direttrice generale del Fondo Kristalina Georgieva. Ora la Fed vuole vedere progressi, e  dunque accelera per “velocemente a livelli dei tassi neutrali”: e dunque, dice Powell, “50 punti base saranno sul tavolo al meeting di maggio”.

Un colpo d’acceleratore che avrà effetti anche in Europa, dove l’estate porterà la fine degli acquisti di titoli che vanno avanti da oltre sette anni, e forse anche il primo rialzo dei tassi d’interesse dal luglio 2011. I mercati puntano su tre rialzi dei tassi Bce nel 2022 che riporterebbero in positivo il tasso sui depositi con cui la Bce da un decennio ‘paga’ per prestare soldi. Ora quelle scommesse rischiano di avverarsi. Lagarde, parlando da Washington, è cauta: “non ha senso fissarsi su un giorno o una tempistica, aspettiamo finché non avremo i dati” e insiste sull’approccio “graduale” per frenare un’inflazione – record del 7,5% a marzo – che è causata principalmente dallo shock energetico su cui la Bce non può nulla.

Ma a spingere, alla Bce, non solo più soltanto i “falchi”, ma anche alcuni componenti moderati del Consiglio della banca centrale, da ultimo il prudente vice presidente Luis de Guindos: “non vedo ragione perché non dovremmo interrompere il nostro programma di acquisto di asset a luglio” ha spiegato il banchiere spagnolo. Sul rialzo dei tassi (ora a -0,5% sui depositi e zero sui rifinanziamenti) “dovremo vedere le nostre stime, i differenti scenari, attualmente luglio è possibile e così settembre o più tardi”.

Un altro “moderato”, il governatore della Banca del Belgio e membro del Consiglio Bce Pierre Wunsch, spiega che la Bce potrebbe portare i tassi a zero o in territorio positivo entro fine anno a meno che arrivino “notizie davvero cattive” dalla guerra in Ucraina. Mentre spingono i “falchi” Martin Kazacs (governatore lettone) e Joachim Nagel, il presidente della Bundesbank.

Alla Bce il segnale d’allarme è che anche gli indicatori di inflazione a più lungo termine cominciano a salire, con il ‘breakeven’ a cinque anni ben oltre il 2% obiettivo della Bce.

Lagarde ha definito l’invasione russa “uno spartiacque per l’Europa” dal punto di vista storico. Di fatto, la guerra precipita gli eventi e avvicina anche un altro “nodo” significativo, quello del debito che negli ultimi anni la Bce ha assorbito senza riserve. I Btp italiani chiudono con uno spread in rialzo a 166, ma il decennale ha visto il tasso balzare al 2,6%, il massimo dal giugno 2019. E per la prima volta dall’instabilità “política” del 2018 quel tasso supera il costo medio del debito italiano.

“Valgono i soliti caveat – spiega Frederik Ducrozet, strategist globale di Pictet Wealth Management – ci vuole tempo perché il costo effettivo del debito possa raggiungere livelli ‘insostenibili’ e questa volta è diverso” con i progressi nell’integrazione europea. Ma fra bassa crescita, alta inflazione, uscita della Bce dal mercato e rischi politici “è la situazione meno facile che si vedesse da molti, molti anni”.

(di Domenico Conti/ANSA).

Lascia un commento