Lunghe code e ore in auto per tornare a Kiev

Ucraini rifugiati nella stazione Dorohozhychi della metropolitana di Kiev.
Ucraini rifugiati nella stazione Dorohozhychi della metropolitana di Kiev. EPA/ROMAN PILIPEY

KIEV.  – File interminabili alle poste per investire sull’acquisto del francobollo di un soldato che manda un “vaffa” ai russi, giovani che tornano nella capitale per “tornare a darle vita”, ma c’è anche chi chiede di non rientrare per favorire aiuti e spostamenti dei volontari.

Kiev ha tanti modi di affrontare questa nuova fase della guerra. Il caos di nuovo in città è sintomo di un’osmosi attesa da settimane: il 30% degli abitanti rientra e lascia i posti dove si era rifugiato. Si torna a casa, nonostante i nuovi attacchi aerei, gli ultimi tre solo 48 ore fa. Del resto già un milione di ucraini sono rimpatriati finora: dall’inizio del conflitto è la prima volta che il numero di persone entrate in un giorno nel Paese ha superato quello di coloro che l’hanno lasciato.

Le file di macchine verso la capitale, rallentate dai check point militari, sono chilometriche e ci sono famiglie che aspettano in macchina diverse ore. Non sono le uniche code. Del resto ogni giorno qui tornano fino a 50mila persone, nonostante il sindaco avesse chiesto di essere cauti. In piazza Maidan c’è un serpentone di gente che si arrotola su se stesso in tutto lo slargo fuori dalle poste.

Tra questi, la maggior parte aspetta di comprare – con il corrispettivo di circa cinque euro – il francobollo a tiratura limitata dedicato agli “eroi dell’isola dei Serpenti”, dove viene raffigurato un soldato che mostra il dito medio agli invasori, mentre l’incrociatore Moskva affonda: si tratta dell’ultimo feticcio della guerra tra propaganda e investimento, visto che Ukrposhta in cinque giorni ne ha già venduto 500mila copie e su ebay c’è chi ha fissato il prezzo di partenza a mille dollari. “Volevano la resa, gli abbiamo distrutto la nave”, spiega divertito Oleksandr, padre di un soldato, dopo essere appena uscito dall’ufficio postale con i suoi sei francobolli.

Nella città la maggior parte dei negozi restano chiusi, ma il coprifuoco – ora dalle 22 alle 5 – si è accorciato di due ore e altre stazioni della metro sono accessibili per più tempo. Ad essere aperti sono alcuni hotel, poche banche – tutte ancora senza euro – le farmacie, diversi pub, supermercati, bar e chioschi, qualche negozio di profumi e persino un sexy shop. Nei palazzi c’è chi non ha mai lasciato l’appartamento per presidiarlo, lasciando partire la propria famiglia. Restano in alcuni quartieri i pochi segni lasciati dalle bombe, con le pareti e i tetti di alcuni edifici in parte distrutti e le finestre bruciate o rotte con i vetri andati in frantumi.

“Ero rimasto a Leopoli per settimane, ma ora – dice Rotislav, 27 anni – voglio essere utile, Kiev mi manca e so che qui posso fare qualcosa”. In effetti a popolare nuovamente la capitale sono soprattutto i giovani. Qualcuno si aggira per il quartiere bohemienne con il suo belvedere, il landshaftna dolyna, o nel riaperto parco nazionale Mezhyhirye, con lo zoo e il campo da golf trasformato in un rifugio per i cigni.

Gli ingorghi però ostacolano gli spostamenti per gli aiuti umanitari, soccorritori e militari. “Sarebbe meglio se Kiev restasse vuota”, dicono Vasil e Julia, due volontari che in mano portano pacchetti di medicinali. Da venerdì scorso anche l’ambasciata italiana, tra le prime, ha riaperto i suoi uffici dopo essere stata una delle ultime a spostarsi a Leopoli: ora si pensa all’arrivo delle Ong, al ripristino dei servizi consolari e al supporto dei cittadini italiani, oltre agli aiuti alla popolazione.

Anche il nord dell’oblast, a fatica, tenta di ripartire. Sono stati rimossi quasi 16mila ordigni esplosivi dopo l’occupazione russa, soprattutto in quelle zone, dove sono state colpite 120 scuole. Nelle strade che portano a Bucha, Irpin e Hostomel, dove i ponti sono distrutti dalle bombe, ci sono adesso una serie di strutture temporanee di legno per facilitare i collegamenti mentre a Borodyanka sono spuntati dei prefabbricati per accogliere i primi sfollati. C’è anche chi la fuga l’ha fatta al contrario, verso Kiev.

Kristina, studentessa di 21 anni, racconta di essere scappata da Bucha venti minuti prima del bombardamento dell’aeroporto di Hostomel. “Il 12 marzo ho intuito che dovevo andare via, mi sono messa in macchina con mia nonna e mia madre, abbiamo attraversato i boschi e siamo arrivati a Kiev dai nostri parenti. Tornerò al villaggio solo in estate, la casa è quasi tutta distrutta e i supermercati sono stati saccheggiati”. Da questa prospettiva, tutto sommato la capitale è un luogo sicuro.

(dell’inviato Lorenzo Attianese/ANSA).

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