Presidente Mattarella: “Fermare le guerre affermando le ragioni della civiltà”

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo studio in Quirinale.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo studio in Quirinale. (Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica)

ROMA. – Le foto dei cadaveri legati o riversi nelle fosse comuni, insieme ai primi racconti della strage di civili a Bucha rischiano di essere uno spartiacque nella guerra in Ucraina. E non lasciano indifferente nemmeno la politica italiana che alterna la condanna alla necessità di una reazione, fatta di dialogo ma allo stesso tempo sanzioni più aspre.

Il monito più alto arriva dal presidente della Repubblica: “Fermare le guerre e le distruzioni è possibile, affermando in ogni dove le ragioni della civiltà umana alle quali non intendiamo derogare”, scrive netto Sergio Mattarella nel messaggio per la giornata internazionale per l’azione contro le mine.

Il capo dello Stato ricorda le vittime “innocenti a causa delle mine” negli ultimi decenni, ed è difficile non pensare al presente. Guarda allo scempio della cittadina a nord di Kiev anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio che da Zagabria resta “sgomento”. Ma avverte: “I responsabili dovranno rendere conto di quanto accaduto”.

Durissimo fin dall’inizio nella condanna dell’invasione russa, il titolare della Farnesina finisce in un vortice di minacce di morte circolate su alcune chat Telegram. Si va da messaggi come “Putin manda qualcuno ad ammazzarlo” a chi propone di “prelevarlo e spedirlo nei gulag”. E tra gli utenti spuntano foto-profilo con la Z.

Di Maio riceve la solidarietà del presidente del Consiglio Mario Draghi, che parla di ignobili attacchi, e dei presidenti di Senato Elisabetta Casellati e Camera Roberto Fico. E con lui si schierano subito il M5s, seguito da Pd, Italia viva, Fratelli d’Italia. “la diversità di opinione non può generare odio e violenza”, scrive Casellati. Fico parla di “intimidazioni inaccettabili che sono certo non intaccheranno l’impegno a sostegno del popolo ucraino”, scandisce.

I leader Dem e della Lega dichiarano vicinanza a Di Maio con messaggi stringati e quasi identici: Enrico Letta e Matteo Salvini riconoscono la “solidarietà piena” al ministro. Più duro Giuseppe Conte che bolla come “fanatici” e “folli” gli autori e alza la voce: “Non basta però la semplice solidarietà: questi codardi vanno perseguiti e assicurati alla giustizia”, dice il presidente dei 5 Stelle. Incoraggiamenti ad andare avanti dalla ministra Mariastella Gelmini, certa che “l’impegno dell’Italia per l’Ucraina e per la pace non si ferma”.

E in effetti non c’è alcun dietrofront contro la guerra. Il primo a ribadirlo è proprio Di Maio: “L’Italia non si tirerà indietro, neanche sulla sanzione al gas russo”. Va oltre il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni: “Quello che abbiamo visto a Bucha merita una reazione ulteriore”. E parlando di un ulteriore pacchetto di sanzioni rivela: “Vedremo nei prossimi giorni se ci saranno le condizioni politiche per farlo”.

In sintonia Letta: convinto della necessità di una reazione che “riguardi anche l’Europa”, conferma l’idea di un embargo del petrolio e del gas russi. Ma replica alle critiche ricevute – in primis da Carlo Calenda – dicendo che “è evidente che un embargo ha costi pesanti che devono essere affrontati a livello europeo, tutti insieme”.

Per Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia la priorità spetta al tetto del prezzo del gas perché “è l’alternativa più realistica allo stop degli approvvigionamenti”. Complici forse le immagini dell’ultima strage, al Senato resta alta la tensione fra i partiti per chiedere le dimissioni del presidente della commissione Esteri, Vito Petrocelli del M5s. Ma chissà ancora per quanto. Su di lui incombe la probabilissima espulsione del Movimento, dopo aver detto ‘no’ al decreto Ucraina in aula e l’annuncio che non voterà più la fiducia al governo.

Ma ancor di più pesa il suo ruolo in una commissione così delicata in questo momento. Per regolamento, però un presidente non può essere sfiduciato né lui intende dimettersi. Una via d’uscita, allora, potrebbe essere un accordo tra i tutti i capigruppo pronti a rivolgersi alla presidenza del Senato per tentare un’ulteriore moral suasion affinché Petrocelli si dimetta.

(di Michela Suglia/ANSA)

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