BUDAPEST. – Viktor Orban e i suoi trionfano per la “vittoria storica” incassata alle urne mentre da Mosca arrivano anche le congratulazioni di Vladimir Putin, che ha addirittura offerto una nuova partnership a Budapest, nel momento più nero delle relazioni della Russia con l’Europa dalla guerra fredda.
Un risultato che ha messo in ombra la sconfitta del premier al referendum Lgbt dove non è stato raggiunto il quorum, mandando in soffitta la legge omofoba che voleva il premier.
Alla luce dell’inatteso stacco con il candidato che rappresentava quasi tutta l’opposizione, il ministro degli esteri Peter Szijjarto ha definito la vittoria di Fidesz “storica”. Mentre nel campo degli avversari dilaga l’amarezza, e alcuni hanno cominciato a dare la colpa al capofila Peter Marki-Zay, che a caldo della sconfitta ha denunciato “il sistema disonesto, in cui non si sarebbe potuto fare di più”.
Alla quarta vittoria consecutiva, il premier sovranista ha ottenuto una maggioranza anche più ampia della volta precedente, con il 53% delle preferenze (135 seggi) contro il 35% (56 seggi) dell’Alleanza e il 6% (7 seggi) per l’estrema destra. E in questo clima, l’annullamento del referendum anti Lgbt, sul quale non è stato invece raggiunto il quorum, è passato in secondo piano.
La vittoria ha rafforzato il ruolo di Orban come icona della destra europea. Il leader ungherese ha ricevuto messaggi di congratulazioni da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, della francese Marine Le Pen e dallo sloveno Janez Jansa, oltre agli auguri compromettenti del presidente russo, che ha espresso “fiducia per un ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali”.
I fedeli di Orban vedono giustificato così l’equilibrismo del premier, che ha approvato le sanzioni europee contro la Russia, ma mantiene rapporti con Mosca per assicurarsi le forniture di gas e “rimanere fuori” dal conflitto “che non è la nostra guerra”. Posizione che si è rivelata forse il motivo principale del successo elettorale. Secondo gli analisti, il trionfo non sarebbe quindi intaccato dalla bocciatura del referendum sulla legge anti-Lgbt, e potrà rinvigorire i tratti autoritari del regime di Orban, che manterrà la conflittualità permanente con Bruxelles, con Soros e col presidente ucraino.
Gli “avversari” elencati nel discorso pronunciato nella serata elettorale, quando il premier ha affermato di aver vinto “contro tutti”. “Lo scontro, qualche volta solo retorico, con l’Ue fa parte della strategia di Orban, e adesso sarà più accentuato”, secondo Peter Kreko dell’istituto Political Capital, mentre l’Ungheria avrebbe bisogno più che mai dei fondi europei, congelati da Bruxelles, visto il deterioramento della situazione economica del Paese, a causa dell’aumento del debito e dei prezzi.
Certo, Orban rimane più isolato sul campo europeo dopo la rottura con la Polonia e i paesi Visegrad per la sua posizione ambigua sulla Russia, e avrà grandi difficoltà nella gestione dei problemi economici. Anche nel mondo delle ong c’è grande preoccupazione: dal momento che sono da tempo trattate come “agenti stranieri” dal governo ungherese (secondo il modello Putin). “È un disastro per la democrazia”, ha detto Marta Pardavi del Comitato Helsinki, “la gente è vittima di una propaganda di disinformazione”. E Amnesty International teme l’indebolimento ulteriore dei diritti umani.
Nell’alleanza che ha perso – i 6 partiti di opposizione, che esprimevano un unico candidato proprio per battere il fautore della democrazia illiberale – è cominciata l’autocritica, con molte polemiche e domande se potesse davvero funzionare una coalizione così eterogenea.
Una parte di Jobbik, il partito un tempo nazionalista e radicale, non ha seguito la svolta centrista: i fuorusciti estremisti sono riusciti a creare un partito alternativo e vincere diversi seggi, causando perdite di voti all’alleanza. Il futuro di questa formazione politica e quello del leader Marki-Zay è ora in discussione.
(di Peter Magyar/ANSA).