Adriana Bonezzi, con il “corazón partido”

Adriana Bonezzi, responsabile del settore Salute e Affari Sociali della "Confederación Española de Organizaciones Empresariales"

MADRID – “Sono ovviamente felice, consapevole delle responsabilità che assumo e cosciente dell’impegno che questo nuovo impegno richiederà. Coordinerò la Commissione Salute e Affari Sociali della ‘Confederación Española de Organizaciones Empresariales’, circa 300 persone organizzate in tre gruppi di lavoro. Intendo affrontare il tema salute inteso in senso lato: dall’aspetto umano a quello animale. È mia intenzione spaziare a 360 gradi. Non sarà facile, lo so, ma farò del mio meglio”. Adriana Bonezzi parla adagio, scandendo le parole. È una nuova sfida che affronta con tanta umiltà quanto entusiasmo. Ha la capacità, l’esperienza e la preparazione per iniziare un nuovo capitolo della sua vita professionale. Non siamo noi a dirlo, ma il suo curriculum. È master in Diritto Sanitario, ha frequentato corsi di formazione in “mediazione nei conflitti sanitari”, è membro dell’Associazione Spagnola di Diritto Sanitario, e ha ricoperto incarichi delicati nell’ambito politico. Quella della Ceoe è stata una scelta mirata, ponderata e non certo avventata, avvenuta solamente dopo una lunga selezione tra centinaia di candidati.

– A cosa si deve la tua passione per l’aspetto sanitario?

– Ho lavorato per tanti anni con Ana Pastor, ministra della Salute del Partito Popolare – ha confessato immediatamente, per poi precisare:

– Non sono né medico né farmacista. Sono avvocatessa di formazione, appassionata di Diritto Pubblico, Costituzionale, Parlamentare e Istituzionale. Mi sono resa conto, quando ero Capo di Gabinetto della Seconda Vice Presidenza del Congresso dei Deputati, che le aziende, le associazioni, le persone non sapevano come rapportarsi con le amministrazioni pubbliche o facevano fatica. Eppure – ha proseguito -, queste sono obbligate ad ascoltare i cittadini e le aziende. È nato così il desiderio di capire meglio la relazione tra cittadino, azienda e amministrazione pubblica. Sono diventata esperta in relazioni istituzionali, lobby e “Public Affairs”. Alla fine – sorride -, ho potuto dedurre che gli argomenti più importanti per le persone sono quelli relativi agli aspetti sociali e sanitari.

 

Pandemia e salute mentale

Sanità, pandemia e salute mentale. Oggi tra loro esiste un nesso solido, messo in evidenza dal deputato di Más País, Iñigo Errejón, in uno dei suoi interventi alla Camera. Se non lo avesse fatto, sarebbe emerso comunque. Il “lockdown”, decretato dal governo per frenare gli effetti disastrosi della pandemia, ha avuto conseguenze su tutti noi; effetti psicologici che a volte non notiamo ed altre neghiamo.  Approfittiamo l’occasione per chiedere a Bonezzi un suo parere sulle conseguenze dell‘isolamento obbligato sulla nostra salute mentale.

– È uno dei maggiori problemi che dobbiamo affrontare dopo due anni di pandemia – ha ammesso senza indugi -. Anche chi può ritenersi fortunato perché non è stato contagiato dal virus, ne ha subito le conseguenze. Tutti, chi più e chi meno, siamo stati oggetto di piccoli o grandi cambiamenti nella nostra vita. Ad esempio, dover uscire con la mascherina tutti i giorni o, addirittura, non voler uscire per paura del contagio. Con la pandemia sono cambiati i nostri rapporti personali. Sono cambiati negli adulti e nei più piccoli. La salute mentale ne ha risentito. Sono convinta, è una tesi che ho difeso e difendo, che i bambini, in stragrande maggioranza, hanno sofferto tanto in questi due anni. E lo hanno fatto in silenzio. Gli adolescenti stanno vivendo un loro dramma. Molti sono incapaci di manifestare ed esprimere le proprie emozioni, di chiedere aiuto. Da qui il fenomeno dell’aumento dei suicidi.

– Questo fenomeno, derivato dall’isolamento a cui ci ha obbligato la pandemia, ha colpito più gli uomini o le donne?

Bonezzi non fa distinzioni anche se fa notare che forse le donne hanno sofferto di più gli effetti del “lockdown” perché, nel loro ruolo di mamme, sono rimaste più tempo in casa.

– La responsabilità dei figli – ha affermato – appartiene ancora alle donne. È il caso mio, madre separata con bambini. Sempre sostengo che la coppia è 50 e 50… È fatta anche da uomini e fratelli, mariti e amici… tutti devono sentirsi coinvolti. La responsabilità dei figli deve essere condivisa. Sono nostri, né tuoi né miei. Non si tratta di dire: “ti do una mano” … no! A volte nelle coppie moderne si convive con figli di uno o dell’altro. Ma l’unità familiare è unica. Quindi, le responsabilità sono comuni.

 

Integrazione e politica

La vera integrazione nel tessuto sociale di un paese avviene quando si sente la necessità di partecipare attivamente per cambiare ciò che si ritiene sia sbagliato. Ma, a volte, ci si trova di fronte a barriere insormontabili. Ad esempio, i limiti alla partecipazione politica. Adriana Bonezzi non ne ha. In effetti, pur essendo cittadina italiana, poiché figlia di immigrati, lo è anche spagnola a pieno diritto, essendo nata nel Paese. La sua passione per la politica, quindi, non ha incontrato ostacoli e l’ha portata ad assumere incarichi di responsabilità in seno al Partito Popolare.

– Sono stata fortunata – ha ammesso -. Essendo nata in Spagna, figlia di cittadini italiani, godo della doppia cittadinanza. È un argomento, questo – ha puntualizzato -, sul quale dobbiamo lavorare molto. In seno al Comites siamo impegnati su questo fronte.  Mi rendo conto che essere in possesso della doppia cittadinanza non è un regalo, ma una grossa responsabilità.

Ha commentato che aver avuto la possibilità di studiare nel liceo italiano, a Madrid, le ha permesso di avere un’apertura mentale che l’ha favorita sia all’Università sia nel mondo del lavoro.

– Le aziende, devo dire – ha sottolineato -, guardano sempre più con interesse ai nostri valori. Oggi si parla dell’Europa del Sud, del concetto dell’Europa mediterranea.

La nostra conversazione si svolge in un Vips, un locale che non è proprio un “fast-food” ma neanche uno “slow-food”. Forse il termine esatto sarebbe “easy-food”. Infatti, il menù, fatta qualche contata eccezione, si limita a piatti facili da preparare e veloci da servire: una gran varietà di insalate, sandwich, hamburger e pizze… Alla giovane che ci viene incontro chiediamo un tavolo tranquillo, appartato, silenzioso. Ci invita a sedere in uno che non è né appartato né promette eccessiva tranquillità. Ma per fortuna non ci sono ancora clienti, e qualunque posto risulta silenzioso e raccolto.

– La passione politica, com’è nata?

– Ho studiato giurisprudenza – ha spiegato -. Sono un’appassionata della teoria del potere, del Diritto Pubblico, del Diritto Parlamentare. Mi interessa analizzare come sorgono le istituzioni e come evolve il potere. All’Università – ha ricordato – ebbi un professore di Diritto Amministrativo che percepì questo mio interesse. Mi suggerì di prepararmi per il concorso di “Administrador Civil del Estado”. E, in effetti, studiai tre anni con l’obiettivo di presentarmi a questo concorso. Conoscevo a fondo la materia. Non lo vinsi ma quei tre anni mi permisero di prepararmi per aspirare agli incarichi che poi ho ricoperto. Ad esempio, fare uno stage alla “Fundación Faes” e lavorare col Presidente José María Aznar. La conoscenza dell’italiano è stata importante. Ci tengo a dirlo. Sono stata la mano destra di Aznar in tutto ciò che direttamente o indirettamente aveva qualcosa a che vedere con l’Italia: traduzioni, relazioni bilaterali, incontri e quant’altro. Lì è nata la mia passione… all’ombra dei politici che preparano e costruiscono risultati. Sono poi stata alla Camera dei Deputati cinque anni, quando il Partito Popolare era al governo. La passione per la politica deve scorrere per le vene altrimenti non si regge il ritmo.

– Sei stata accanto ad Aznar, un Presidente del Governo polemico. Come ti sei inserita nel partito…

– Grazie alla mia formazione, alla mia preparazione giuridica, alla Fondazione Faes… – ha assicurato – Nel corso dello stage, leggevamo tantissimo. Abbiamo letto e preparato tanti lavori … Studiare la storia della politica del paese è molto interessante. Consente di costruire una visione che poi ti mette in condizione di scrivere i discorsi, di creare idee trasversali. Ti forma le basi per l’analisi. Bisogna sempre guardare all’orizzonte. Mio nonno diceva che ero come “un uccel di bosco” che osserva dal di sopra per poi scendere agli aspetti particolari, agli argomenti puntuali. Tutti i politici, i grandi nomi hanno sempre squadre potenti che li aiutano nelle loro attività. La Fondazione Faes suggerì il mio nome al Partito Popolare. Fu così come cominciai a lavorare con Ana Pastor. Quando fu nominata ministra delle Opere Pubbliche mi chiese di seguire con lei.

– Cosa è cambiato nella politica spagnola? La caduta di Rajoy, il PP all’opposizione, il trionfo di Ayuso, Casado…

– “Ver los toros desde la barrera”. Essere stata lì, l’esperienza acquisita nel Partito Popolare, nella Camera dei deputati, nel governo… – ha ricordato con nostalgia -. Non tutte le persone hanno questa triangolazione perfetta: partito, Camera dei deputati e governo. Oggi sono cambiate tante cose. Il bipartitismo non c’è più. L’ha sostituito il multipartitismo.

Considera giusto che ci sia un ricambio generazionale anche se ammette che è un processo difficile. Approfitta per sottolineare la necessità di una maggiore partecipazione femminile.

– Abbiamo visto le elezioni a Castilla y León – ha illustrato -.  Cinque candidati, tutti uomini.  Anche per questo sostengo Isabel Díaz Ayuso che considero una voce importante nel partito, e nella società. È una donna capace di difendere le proprie idee.

Considera che ci siano ancora tante, troppe limitazioni all’ingresso della donna in politica. Ma, ci chiediamo e le chiediamo, quanta responsabilità ha l’uomo e quanta ne ha anche la donna?

– La mia vita si svolge nel mondo di donne esecutive, di associazioni di donne – ha risposto -. Credo che ci sia ora un richiamo necessario a rompere “los techos de cristal”; ad arrivare ai consigli d’amministrazione delle aziende; ad essere CEO; ad assumere responsabilità nell’amministrazione pubblica. Però, in parte, la responsabilità di quel che accade oggi è anche di noi donne. C’è timore nello scegliere tra essere madre, ed aver cura dei figli o essere una professionista, e perdersi tanti momenti familiari. E, in effetti, essere capo gabinetto o aiutante di un ministro o ministra ti obbliga spesso a dolorose rinunce; a perderti, appunto, quei momenti familiari che non si ripetono più. Quando arriva il momento della scelta, devi essere disposta a rinunciare a tante cose… anche alla gioia di essere vicina ai figli nei momenti importanti.

Crede che tra gli uomini più giovani ci sia un compromesso e una parità. Ad esempio, aiutare nelle faccende di casa, cucinare, portare i figli a scuola e andarli a riprendere…

– La società, come ti dicevo all’inizio – ha proseguito -, deve essere assolutamente 50 e 50. Credo, poi, che noi donne abbiamo ancora timore, di parlare di stipendi… di denaro. Non siamo capaci di trasformare in termini monetari la nostra professionalità. Noi donne aspiriamo, inoltre, alla perfezione. Non ci candidiamo se non siamo sicure di poter dare il 100 per cento. Gli uomini no. Si lanciano, si presentano e se va, va. C’è poi la maternità. La donna pensa di non riuscire ad essere a casa, di non arrivare in tempo per la cena, in generale di non essere sufficientemente presente. Questa “multitasking” ci fa stare in un posto e pensare a casa… se ho un bambino malato e devo presentarmi ad una riunione importante… Che vuoi, noi donne siamo un po’ così.

– Eppure, ci sono donne che hanno fatto storia… ad esempio la Merkel, la Tatcher, la Ghandi, la Bachelet…

– Ho l’impressione che i giovani non abbiano alcun interesse a compromettersi troppo in determinate decisioni – afferma con rammarico -. Forse sarà per comodità. Forse perché si considera che sia una responsabilità in più da sommare al lavoro. Ci siamo  abituati a vivere bene, nell’agio.

 

Comites e Collettività

Le elezioni per il rinnovo dei Comites sono avvenute appena qualche settimana fa. Un appuntamento importante, al quale purtroppo hanno partecipato meno connazionali di quanti, visto l’importanza dell’organismo, fosse logico attendersi. Adriana Bonezzi, candidata nella lista “Italiani Democratici Madrid”, è stata tra le più votate.

– Il Comites… cosa ti ha spinto a candidarti?  

– Essere nel Comites è motivo di orgoglio – ha affermato immediatamente per poi aggiungere:

– Sono stata sollecitata ad integrare la lista Italiani Democratici Madrid da Andrea Lazzari. Lo ringrazio per la sua fiducia. Sono parte di una squadra, persone diverse, tutte di grande spessore umano. Con la decisione di partecipare ho messo sul tavolo la mia doppia cittadinanza; la mia italianità in una società spagnola. Sono molto orgogliosa di poter affermare che sono italiana; di poter sottolineare la doppia “z” del mio cognome e di poter ribadire la mia doppia cittadinanza.

Spiega che uno degli aspetti che l’ha motivata a partecipare è stata anche la forte presenza femminile in seno alla lista proposta da Andreas Lazzari, oggi presidente del Comites di Madrid.

– Non concepisco una lista elettorale senza donne – commenta -. Lo considero antidemocratico, addirittura anticostituzionale.

– Quanto c’è d’italiano e di spagnolo in te?

Sorride. E risponde senza imbarazzo:

– Direi che 50 e 50. Sono nata a Madrid, ho frequentato a Madrid prima la scuola italiana e poi l’Università. Le generazioni del futuro, come i miei figli o come la mia nipotina nata in Irlanda da padre italiano, mio fratello, e madre spagnola, mia cognata, hanno un’apertura mentale maggiore. Ho visto, giorni fa, un giovane con la maglietta metà col colore della nazionale italiana e metà con quelli della Spagna: metà azzurra e metà rossogialla.  Ecco, noi ci sentiamo così.

Confessa che, in famiglia, è sempre stata la più spagnola. E le ragioni sono facilmente intuibili: abita a Madrid, è quindi perfettamente integrata nella società spagnola, ha lavorato sempre, e continua a farlo nelle istituzioni spagnoli.

– La mia vita – ha detto – l’ho costruita qui.

– I tuoi figli sono terza generazione, come vivono questa strana realtà?

– “Con el corazón partido”… – ha affermato con spontaneità e con quel sorriso solare che l’ha sempre accompagnata in questa conversazione – Contano i mesi che mancano per andare in Italia in vacanza, ma abitano a Madrid. Hanno un padre spagnolo e la loro cultura più abbondante è quella spagnola. Certo, andiamo a casa dei nonni e pranziamo specialità abruzzesi e Cremonesi; il nostro Natale è quello tipico delle tradizioni italiane. Alla fine, stiamo costruendo i ragazzi del futuro con una grande ricchezza culturale e valori che a volte risulta difficile difendere.

– Perché?

– Perché – ha spiegato – ci vuole “una altura de miras”, essere aperti, capire la ricchezza delle due culture. Spagna e Italia sono molto simili, ma hanno anche grosse differenze e tante diversità… a livello di Stato, di regioni, di organizzazioni, di cultura. È proprio questa la grande ricchezza.  In seno al Comites sono l’unica italiana di seconda generazione, cioè l’unica italiana nata a Madrid. Anche questo ha un senso, un significato…

La nostra conversazione si chiude qui. Ci guardiamo attorno. Solo ora ci rendiamo conto che l’immensa sala, al nostro arrivo deserta, si è colmata di giovani impiegati, turisti, studenti. Il viavai di camerieri è incessante. Non ci accompagna più l’assordante silenzio che ci ha accolto, ma il mormorio dei clienti, il sordo rumore di piatti, posate e bicchieri. Usciamo. Una brezza fredda ci accarezza mentre un tiepido sole ci avvisa che la primavera è alle porte.

Mauro Bafile

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