Biden strappa sul petrolio e preme l’Ue: “Più sanzioni”

Joe Biden

ROMA.  – Gli Stati Uniti alzano la voce e spingono per rafforzare le sanzioni estendendole anche al settore energetico e sembrano pronti ad andare avanti anche da soli. “Bisogna continuare ad alzare i costi per la Russia per la sua ingiustificata e non provocata invasione dell’Ucraina”, ha detto in sostanza il presidente americano Joe Biden in una video call con Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Boris Johnson.

Una consultazioni alla quale non è stato invitato il premier Mario Draghi, che ha avuto in serata una telefonata con Scholz. Germania e Italia sono i due Paesi europei che sarebbero più danneggiati da un embargo energetico, a partire ovviamente da quello del gas.

Sarebbe una “catastrofe”, ha subito replicato la Russia attraverso  il vicepremier Aleksandr Novak. L’esclusione del petrolio russo dai mercati internazionali porterebbe a “conseguenze catastrofiche”, causando un balzo dei prezzi fino a 300 dollari al barile, ha sottolineato minaccioso definendo l’ipotesi “una provocazione”. Il tema è caldissimo tanto che a stretto giro di posta la Casa Bianca ha precisato che Biden “non ha ancora preso alcuna decisione in questo momento”.

Ma la strada sembra tracciata: non a caso contemporáneamente alle dichiarazioni della Casa Bianca democratici e repubblicani hanno fatto sapere di aver raggiunto un accordo per vietare le importazioni di energia russa negli Stati Uniti e sospendere le relazioni commerciali con Mosca e Minsk per la crisi ucraina. L’intesa, raggiunta dai presidenti delle Commissioni fiscali di Camera e Senato, deve comunque essere approvato dalla totalità delle Camere. Sul piano diplomatico intanto è ancora stallo.

Tutti guardano alla Cina che sembra mostrare qualche prudente segnale di movimento. “La nostra amicizia con la Russia è solida come la roccia”, premette il ministro degli Esteri Wang Yi per rendere subito chiaro l’approccio cinese, ma subito aggiunge che Pechino è pronta a fare “le necessarie mediazioni lavorando a fianco della comunità internazionale”. Non è tanto ma basta per aprire uno spiraglio in una giornata che registra solo qualche “piccolo sviluppo” nel dialogo bilaterale – non di altissimo livello – tra Russia e Ucraina. Un quarto round negoziale è stato infatti già programmato.

Silenzio dal premier israeliano Bennett, che con la sua visita a sorpresa a Mosca aveva accesso qualche speranza. Oggi ha parlato il ministro degli Esteri Lapid assicurando che Israele continua a parlare con le parti, in coordinamento con gli Stati Uniti e l’Unione europea. Bennett infatti non avrebbe presentato a Putin alcun piano limitandosi a trasmettere messaggi tra le parti, secondo la stampa israeliana. Ad ogni modo ha fatto sapere che Gerusalemme come luogo per un’eventuale mediazione andrebbe benissimo.

Non invitato alle conversazioni gestite da Biden, il premier Draghi oggi è stato a Bruxelles per parlare di indipendenza energetica con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e in serata ha sentito Scholz.

L’accelerazione americana sull’energia provoca infatti turbamenti in Europa: com’è noto, soprattutto Berlino e Roma, con la loro dipendenza dal gas russo, temono per le ripercussioni economiche interne che un eventuale allargamento di queste misure può provocare.

Per la diplomazia l’appuntamento più concreto, ma ancora lontano, è quello che si svolgerà giovedì ad Antalya, in Turchia: lì si parleranno “faccia a faccia” il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov e il collega ucraino Kuleba, primo vertice ad alto livello dall’inizio della guerra. Ma in mezzo ci sono ben tre giorni durante i quali sul terreno potrebbe accadere di tutto. E Putin, come ha spiegato Draghi, è apparso determinato ad andare avanti sino in fondo. Anzi, gli ha fatto eco Macron, “la situazione peggiora di giorno in giorno”.

L’Unione europea intanto, attraverso il presidente del Consiglio Charles Michel, ha fatto sapere che nei prossimi giorni i 27 si riuniranno per valutare la richiesta di Kiev di entrare nella Ue. Un passaggio che sembra più simbolico che concreto. Mentre l’Ungheria si distingue nell’approccio e fa sapere di aver emanato un decreto che vieta il trasferimento delle armi in Ucraina attraverso il proprio territorio. Il premier Viktor Orban ha anche annunciato un incontro dei Paesi del gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) domani a Londra.

(di Fabrizio Finzi/ANSA).

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