Analisi: La diplomazia in salita nel mattatoio ucraino

Morte e distruzione nella città di Kharkiv sotto i bombardamenti russi
Morte e distruzione nella città di Kharkiv sotto i bombardamenti russi. (Photo by Sergey BOBOK / AFP)

ROMA. – Mentre il mattatoio ucraino continua a produrre morte e disperazione, la diplomazia internazionale non riesce ancora a trovare un punto di partenza per possibili, concreti, negoziati. Da un lato il Cremlino incrementa la sua guerra totale sulle città, riproducendo le terribili e sanguinose strategie già adottate ad Aleppo e Grozny: popolazioni assediate, bombe sulle città, molti morti tra i civili, colonne di profughi, assoluto disprezzo del rispetto dei diritti umani e delle regole internazionali.

Dall’altro la diplomazia prova a tenere in piedi un piccolo filo di dialogo nella speranza che, prima o poi, possa arrivare il momento giusto per trovare una via di uscita che non sia quella dettata dai carri armati e dei missili lanciati sulle case.

L’Unione Europea, la Nato, l’Onu e l’Occidente in generale sono completamente tagliati fuori da qualsiasi contatto diplomatico degno di questo nome. Putin, semplicemente, non li ascolta e li considera il ‘nemico’. ‘Le sanzioni sono una dichiarazione di guerra’, ha detto tanto per non lasciare dubbi al riguardo.

Le coraggiose telefonate di Macron (la Francia ha la presidenza di turno dell’Ue) a Putin hanno ottenuto il solo risultato di chiarire che il leader russo intende andare avanti fino a quando non avrà la percezione esatta di aver vinto questa guerra.

L’ottimismo della ragione non sembra far breccia nella realtà capovolta e nella falsa narrazione che arriva dal Cremlino. Purtroppo a prevalere adesso non può che essere il pessimismo della ragione. Eppure, mentre i tank avanzano nel fango, mentre donne e bambini muoiono sotto le bombe e i missili di Putin, la diplomazia prova a infilarsi nel piccolo spiraglio del dialogo.

I negoziati tra russi e ucraini non hanno dato, fino ad oggi, nessun risultato apprezzabile. I corridoi umanitari concordati non funzionano, i civili che hanno provato ad uscire dalle città sono stati colpiti. A scendere in campo in questa fase sono essenzialmente due attori mentre il terzo, quello che potrebbe fare davvero la differenza, osserva perplesso e molto preoccupato. I primi due sono Israele e la Turchia. Il terzo è la Cina.

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett è volato a Mosca sabato scorso, durante il riposo dello Shabbat, e ha incontrato Putin, ha parlato al telefono con Zelensky, si è consultato con i partner europei. Israele può avere un ruolo importante perché ha mantenuto una posizione equidistante in questa fase e ha tra i suoi cittadini molti russi e molti ucraini. Sui cieli siriani, il cui controllo è in gran parte in mano ai russi, i jet con la stella di Davide si muovono inevitabilmente con un coordinamento mai espresso apertamente ma neanche mai smentito.

Erdogan ha parlato con Putin e fra tre giorni i ministri degli Esteri di Russia ed Ucraina si incontreranno ad Antalya, in Turchia, sotto la mediazione del loro omologo turco. I rapporti tra Mosca ed Ankara sono controversi. Ad esempio in Libia sono su posizioni contrapposte essendosi di fatto spartiti il Paese. Le milizia di Erdogan in Tripolitania e i paramilitari russi della brigata Wagner in Cirenaica. La Turchia è membro della Nato ma non ha adottato sanzioni contro Mosca. Soprattutto Putin ed Erdogan parlano la stessa lingua, quella di due autocrati che governano i rispettivi Paesi con il pugno duro.

Ma il Paese che davvero potrebbe dare una svolta diplomatica alla guerra in Ucraina è la Cina. Pechino ha cambiato la sua posizione e il suo appoggio a Mosca, che rimane, si è affievolito. Il motivo è lampante. Una delle conseguenze dirette della folle guerra di Putin è la fine del mondo globalizzato che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Nulla sarà più come prima e gli scambi economici diverranno più complicati e difficili.

Le sanzioni sono armi a doppio taglio e fanno male anche e chi le impone e anche a chi vorrebbe restarne fuori. Per questo la Cina, che vede in pericolo la sua strategia della ‘Via della Seta’, potrebbe presto rompere gli indugi e provare a far ragionare Putin. Ma per trovare un accordo bisogna sempre essere in due ed avere visione, capacità di ragionamento, lungimiranza, moderazione ed anche un po’ di pietà umana. Sono merci che al Cremlino, oggi, non si trovano più.

(di Stefano Polli/ANSA)

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