Parate, silenzi e vittorie, Zoff 80 anni di un mito

L'azzurro Dino Zoff alza la Coppa del Mondo del 1982. Archivio /ANSA

ROMA.  –  Gli 80 anni di un mito. Li compirà Dino Zoff lunedì prossimo, 28 febbraio. É lui l’unico calciatore italiano ad aver vinto sia i Mondiali sia gli Europei, nel 1968 e nel 1982. Sono sue le braccia che alzarono la Coppa in Spagna e furono poi immortalate da Renato Guttuso e da un francobollo. Ancora sue le mani che bloccarono sulla línea il possibile pareggio del Brasile al Sarrià, con un abbraccio finale al pallone che sapeva di rassicurazione paterna.

Zoff è stato il campione rialzatosi dopo le critiche per le reti su tiri da lontano ad Argentina ’78, ed è diventato legenda quattro anni dopo col Mondiale vinto in finale contro la Germania sotto gli occhi di Pertini, poi compagno di scopone in aereo. In 80 anni di epos taciturno, da “persona per bene” come ama definirsi, Zoff oltre che capitano di quella nazionale di Bearzot è stato allenatore, ct della nazionale, dirigente,  padre nobile del calcio italiano anche quando questo era andato molto oltre il suo senso della misura.

Zoff è il volto finito sulle copertine di Time e Newsweek, il numero uno dei numeri uno che ha giocato con Burgnich e Facchetti per arrivare fino a Pablito Rossi e poi  Bergomi, e che è stato rivale e poi compagno di Sivori e avversario di Maradona, a testimonianza di una carriera unica anche come longevità. Quattro anni dopo i gol incassati da Nelinho e Dirceu, si prese la rivincita anche sul Brasile, perchè quel giorno al Sarrià di Barcellona la torcida pianse non solo per la tripletta di Paolo Rossi ma anche per la parata di Superdino sul colpo di testa di Oscàr (“ebbi paura, una paura tremenda”).

Zoff è poi stato capace di farsi valere anche come tecnico, arrivando a sfiorare con l’azzurro il titolo europeo (perso nel 2000 per un ‘golden gol’ di Trezeguet) e secondo a nessuno come dignità quando, poco dopo il torneo continentale, si dimise per le critiche dell’allora premier Silvio Berlusconi per non aver fatto marcare a uomo Zinedine Zidane in quella finale. Insomma un carattere simile a un altro grande friulano come lui, quell’Enzo Bearzot con cui Dino s’intendeva al volo, con un semplice sguardo, e al quale diede una carezza prima di alzare la Coppa al Bernabeu.

Ma Zoff è stato anche un collezionista di scudetti alla Juventus (“quella che ho amato di più forse è stata la squadra del 1972-’73, con Haller, Causio, Bettega, ovvero velocità, classe e fantasia”, si lasciò andare una volta), costringendo al ruolo di eterni panchinari gente che altrove magari sarebbe stata titolare, come Piloni, Bodini e Alessandrelli. Peccato solo per quel gol preso da Magath nella finale di Coppa Campioni contro l’Amburgo ad Atene. Pochi giorni dopo, il 2 giugno 1983, annunciò il ritiro non riuscendo a nascondere una certa commozione e spiegando che “non si può parare anche l’età”.

In bianconero, Zoff coltivò un’amicizia fraterna di un altro grande campione, e uomo, di poche parole come lui, Gaetano Scirea, e il ragazzo che sognava di diventare calciatore, e stare tra i pali, ma che nel frattempo faceva il meccanico perché anche con i motori ci sapeva fare.

In Friuli ai tempi della Marianese lo avevano notato quasi subito, ma non Peppino Meazza, altro fuoriclasse, che lo scarta a un provino per l’Inter. Così finisce all’Udinese, dove a 19 anni prende 5 gol dalla Fiorentina: sembra la fine prematura di una carriera, invece già allora Zoff ha la forza di riprendersi.

Dopo due anni non facili a Udine va al Mantova dal suo mentore “Cina” Bonizzoni; lì  trova come compagni di squadra Simoni, Giagnoni, Sormani e Schnellinger. Quattro anni alla grande e poi via verso Napoli, che lo soffia al Milan, per giocare con Altafini, Sivori, Juliano e vivere un amore in fondo strano, da una parte lui uomo chiuso e riflessivo e dall’altra una città simbolo dell’estroversione.

A quel punto Zoff è già qualcuno e nasce anche l’alternanza in nazionale con Ricky Albertosi, alter ego anche nel carattere. All’Europeo del ’68, anno delle contestazioni studentesche e dell’Olimpico illuminato da torce ed accendini, è Zoff il titolare nell’Europeo vinto contro la Jugoslavia, poi ai Mondiali di Messico ’70 tocca ad Albertosi che arriverà fino in fondo, alla finale e ai 4 gol presi da O Rei Pelé e dagli altri giocolieri in oroverde.

Comincia poi, nell’estate del 1972, la grande avventura nella Juventus, undici stagioni con sei scudetti, una Coppa Uefa, due volte la Coppa Italia e una serie di record. Nel mezzo la bruciante delusione dei Mondiali del ’74 in Germania, le critiche feroci dopo l’Argentina (“non ci vede più, non vede partire i tiri da lontano”), il trionfo del Bernabeu e quella partita a scopone sull’aereo verso l’Italia, con Bearzot, Causio e il Presidente Pertini, ‘sgridato’ anche a distanza di anni per una carta giocata male. Altri tempi,certo, eppure sempre attuali. Perché un mito non ha età.

(di Alessandro Castellani/ANSA).

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