Riconoscere il Donbass, l’arma segreta dello zar

Il presidente russo Vladimir Putin.
Il presidente russo Vladimir Putin. (ANSA)

ROMA. – Nel giorno in cui annuncia il ritiro di una parte delle sue truppe ammassate alla frontiera ucraina, Mosca esibisce un’altra arma che potrebbe usare contro il Paese vicino.

La Duma, la Camera bassa del Parlamento, ha infatti approvato una mozione che dà al presidente Vladimir Putin l’autorità di riconoscere come indipendenti le due Repubbliche separatiste filo-russe nell’est dell’Ucraina.

Una prospettiva che provoca un’immediata levata di scudi nel campo occidentale. Il riconoscimento, avverte il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in visita a Mosca, sarebbe una “catastrofe politica” e una “violazione degli accordi di Minsk”. Cioè il trattato di pace che con grandissima fatica si sta cercando di resuscitare.

Putin, al fianco di Scholz per una conferenza stampa congiunta dopo un colloquio durato oltre tre ore, si mantiene sapientemente ambiguo sul tema, rifiutando di dire se userà o meno il potere conferitogli dall’assemblea, su mozione peraltro presentata dal Partito comunista e non dal suo Russia Unita. “La stragrande maggioranza del nostro popolo – afferma – simpatizza con i residenti del Donbass”. La regione nell’est dell’Ucraina, appunto, dove sono situate le due Repubbliche secessioniste, quella di Donetzk e quella di Lugansk.

Le autorità locali dei due territori, più vicine per cultura alla Russia rispetto ad altre regioni dell’Ucraina, proclamarono l’indipendenza nel 2014, ribellandosi al governo centrale di Kiev che quell’anno era passato nelle mani di forze politiche europeiste dopo l’estromissione del presidente filo-russo Viktor Yanukovich. Le due Repubbliche non sono riconosciute da alcun Paese, ma sono informalmente sostenute da Mosca e hanno milizie armate che da otto anni conducono una guerra con l’esercito ucraino che ha finora provocato 14.000 morti.

Putin addossa all’Ucraina la maggiore responsabilità delle violenze, e anche oggi ha denunciato quello che ha definito un “genocidio” ai danni della popolazione locale. Il capo del Cremlino ha rinnovato anche l’accusa a Kiev di impedire una soluzione del conflitto rifiutando di avere colloqui diretti con i separatisti.

Il riconoscimento da parte della Russia delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk equivarrebbe a una “violazione del diritto internazionale”, ha affermato il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Per la Francia si tratterebbe di “un’aggressione senza armi”. Mentre il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha avvertito che un passo del genere significherebbe un ritiro “de facto e de jure” della Russia dai trattati di Minsk, che nel 2015 sancirono un instabile cessate il fuoco con l’intesa tra Mosca, l’Ucraina, la Francia e la Germania, gli Stati del cosiddetto Formato di Normandia.

Questi Paesi sono tornati ad incontrarsi nelle ultime settimane a livello di consiglieri politici per una difficile trattative volta ad applicare gli accordi di Minsk, che prevedono il ritorno dei territori ribelli sotto la sovranità di Kiev ma con la concessione di un’ampia autonomia.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha assicurato che Mosca rimane impegnata a far attuare tali accordi. Ma la Russia ha a disposizione potenti leve che potrebbe azionare, se lo ritenesse necessario, per imporre la sua influenza su questi territori. Prima fra tutte quella della cittadinanza russa, già concessa a oltre 870.000 residenti del Donbass (su un totale di 4 milioni) soltanto negli ultimi tre anni, secondo dati diffusi dalla Duma.

(di Alberto Zanconato/ANSA).

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