I talebani fermano e rilasciano due reporter stranieri

Il vicepremier talebano Abdul Ghani Baradar con altri membri del movimento islamista in un'immagine d'archivio. ANSA/ALEXANDER ZEMLIANICHENKO / POOL

ROMA.  – I talebani non allentano la morsa sulla stampa e ribadiscono a loro modo che dall’Afghanistan è meglio stare alla larga. Ultimi in ordine di tempo a finire nelle galere opache dell’Emirato islamico sono stati due giornalisti stranieri in missione per conto dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e alcuni colleghi afghani che collaborano con loro. Dopo ore di apprensione, però, i reporter sono stati rilasciati.

“Siamo sollevati nel confermare il rilascio a Kabul dei due giornalisti incaricati dall’Unhcr e dei cittadini afgani che lavorano con loro”, ha riferito in serata l’Alto commissariato delle Nazioni Unite. Per ora si conosce solo l’identità di uno dei reporter: Andrew North, ex corrispondente britannico della Bbc, ora freelance, che ha seguito il Paese per vent’anni e ha al suo attivo numerosi viaggi in Afghanistan. “Andrew era a Kabul a lavorare per l’Unhcr, cercando di aiutare il popolo afghano”, ha twittato sua moglie Natalia Antelava.

I talebani, impegnati in un improbabile esercizio di equilibrismo tra il tentativo di conquistare un minimo di credibilità tra le democrazie del mondo e l’imprinting della repressione come elemento fondante del potere, hanno dapprima preso tempo. “Abbiamo ricevuto informazioni al riguardo e stiamo cercando di confermare se sono stati arrestati o meno”, ha detto Zabihullah Mujahid, portavoce del governo di Kabul. Salvo poi confermare tutto al Washington Post, capi d’imputazione compresi.

“Diversi stranieri” sono stati arrestati a Kabul con l’accusa di lavorare per agenzie di intelligence straniere, ha detto un membro dei servizi talebani sotto la protezione dell’anonimato, mentre un’altra fonte anonima vicina al dossier ha spiegato che gli arresti sono stati effettuati “all’inizio della settimana” e dopo giorni di negoziati non è stato raggiunto un accordo per il loro rilascio.

Da agosto, quando i talebani hanno ripreso il potere, la repressione contro le voci critiche è stata durissima. Sono almeno 50 i reporter afghani arrestati dalla polizia o dai servizi segreti, secondo un rapporto diffuso all’inizio di febbraio da Reporter senza frontiere. Ma anche nei mesi precedenti alla ripresa del controllo del Paese diversi operatori dei media, donne comprese, sono stati uccisi in omicidi mirati attribuiti ai talebani.

All’inizio di gennaio quattro militanti femministe sono scomparse a Kabul dopo aver partecipato a manifestazioni anti-regime. E nonostante i talebani si siano chiamati fuori sostenendo di aver aperto un’inchiesta, l’allarme nella comunità internazionale si è ulteriormente alzato. Una matassa, quella dei diritti umani e della libertà di stampa e di parola, difficilmente dipanabile per gli eredi del mullah Omar, che hanno un disperato bisogno degli aiuti occidentali per affrontare la catastrofe umanitaria che rischia di coinvolgere oltre la metà della popolazione.

Secondo l’Unicef, “24,4 milioni di persone affrontano la fame estrema e 9 milioni sono a rischio carestia”. “Sono i bambini e le bambine a pagare il prezzo più alto – denuncia il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia – 3,9 milioni di bambini affrontano una grave malnutrizione” e “più di 13 milioni hanno un disperato bisogno di aiuto”.

I fondi internazionali rappresentavano il 75% del bilancio afghano prima del ritorno dei talebani, ma la condizione per riaverne almeno una parte è il rispetto dei diritti umani, come ha appena ricordato il capo missione del Regno Unito Hugo Shorter, ora basato in Qatar, reduce da una visita a Kabul dove ha incontrato il ministro degli Esteri Amir Khan Muttaqi.

(di Eloisa Gallinaro/ANSA).

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