Parla Salah: “Non ho ucciso, cintura era disinnescata”

Salah in uno schizzo dell'aula del processo © (Photo by Benoit PEYRUCQ / AFP)

PARIGI. – Salah Abdeslam sorprende di nuovo tutti, si proclama fedelissimo dell’Isis e appoggia gli attacchi contro l’Occidente, ma poi torna ambiguo: “Io non ho ucciso nessuno, non ho ferito, neppure un graffio”. La cintura esplosiva? “Non l’avevo innescata”. E quando il giudice gli chiede perché facesse parte dei commando jihadisti che insanguinarono Parigi, risponde: “Per la paura di Dio, dell’inferno, del suo castigo”.

Il maxiprocesso per gli attentati del 13 dicembre 2015 allo Stade de France, poi al Bataclan e ai tavoli dei bistrot parigini (130 morti e 350 feriti) è arrivato oggi al suo momento clou dopo tre mesi di udienze: l’interrogatorio di Salah, único superstite, che all’inizio del processo aveva lanciato proclami contro la giustizia francese, l’Occidente, il regime carcerario, non risparmiando neppure i familiari delle vittime presenti.

Trentadue anni, discreta capacità oratoria, comportamento finora di grande ambiguità, è stato lasciato solo oggi dalle tre testimoni che erano convocate nella stessa giornata, la madre, la sorella e l’ex fidanzata. Hanno inviato lettere, in cui la sorella lo descrive come “sensibile”, la madre chiede clemenza affinché Salah “non paghi per quelli che si sono fatti esplodere” e l’ex fidanzata lo definisce “buono, intelligente, conversatore”.  Ma è stato l’imputato a prendersi la scena, soprattutto con la dichiarazione iniziale che aveva chiesto di poter pronunciare prima dell’interrogatorio.

“Neppure un graffio”, ha ripetuto Salah provando a difendere la coesistenza fra la sua adesione al progetto di stragi e la personale scelta di non uccidere. “Dall’inizio di questa storia, non si è smesso di calunniarmi. ‘Calunniate, calunniate’ consigliava Voltaire, qualcosa resterà”, ha detto sfoggiando una citazione. “Vedrete che in futuro quando qualcuno sarà nella metropolitana con una valigia esplosiva, e all’ultimo momento vorrà fare marcia indietro, saprà che non ha diritto di farlo, poiché sarà rinchiuso in carcere e umiliato”.

Un attimo dopo, è tornato ad inneggiare allo Stato islamico: “Sono con loro, li amo”, si battono contro “le umiliazioni” che l’Occidente infligge loro. Ma quanto alla sua partecipazione, al suo movente personale, Salah si è sfilato e preso le distanze dai compagni di commando: “A volte mi dico ‘avrei dovuto caricarlo quel coso (la cintura esplosiva, ndr)’ e ‘avrò fatto bene a fermarmi o sarei dovuto andare fino in fondo?'”. Per lui e per l’Isis, gli attentati erano “operazioni militari”, anzi facevano parte di una “jihad difensiva” dopo i raid in Siria e non di una strategia di conquista.

“É stata un’operazione militare prendere di mira una sala per concerti e dei ristoranti?”, lo ha incalzato il presidente del tribunale. “Hanno lavorato con i mezzi che avevano – ha risposto Salah -, se hanno colpito dei civili era perché volevano impressionare le menti”. E quando l’avvocato delle parti civili gli ha chiesto cosa lo avesse spinto a giurare fedeltà all’Isis, Salah non ha avuto dubbi: “Per paura di Dio, dell’inferno, del castigo di Dio. All’inizio mi godevo la vita. Grazie a quanto successo in Siria, ho cominciato ad interessarmi, ho voluto aiutarli anche se non ero un fedele”.

(di Tullio Giannotti/ANSA).

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