Un anno fa il golpe in Birmania, piazza sfida la giunta

Una manifestazione pro-militare, in Yangon, durante lo sciopero dell' opposizione civile a un anno del golpe in Birmania. ANSA/EPA/STRINGER

BANGKOK.  – Negozi chiusi, residenti tappati in casa e proteste pacifiche per scacciare la giunta battendo le mani: i birmani che si oppongono al golpe hanno ricordato così il colpo di stato di esattamente un anno fa, con uno sciopero silenzioso a cui ha aderito gran parte della popolazione nonostante le minacce di conseguenze penali arrivate dalla giunta del generale Min Aung Hlaing.

Un anniversario macchiato anche di sangue, con due uccisi e 38 feriti da due granate lanciate sulla folla a una manifestazione pro-militare a Tachileik, nell’est del Paese, in un attacco al momento senza rivendicazioni. Ma con lo stato di emergenza appena esteso di altri sei mesi, le intenzioni del regime di mantenere il potere a ogni costo sono chiare, anche di fronte alle ulteriori sanzioni evocate da parte della comunità internazionale.

Nella capitale economica Yangon e a Mandalay, seconda città del Paese, in moltissimi hanno accolto l’appello a incrociare le braccia in segno di protesta contro i militari, sfidando il potenziale reato di alto tradimento menzionato dal regime. Le manifestazioni pacifiche nelle città sono state guárdate perlopiù a distanza dalle forze dell’ordine, ma media local segnalano che decine di cittadini sono stati arrestati solo per aver battuto le mani.

Sui social media, intanto, è diventata virale un immagine con la sagoma del territorio nazionale in nero in segno di lutto, con al centro la scritta “un anno”. E da ogni città dove la gente ha scioperato, sui social sono state pubblicate foto delle strade deserte, con messaggi inneggianti alla resistenza della popolazione.

L’anniversario del colpo di stato, che depose il governo di Aung San Suu Kyi appena riconfermato in carica da un trionfo elettorale, è stata anche l’occasione per la comunità internazionale di tornare ad alzare la voce, dopo un anno di sanzioni limitate che non hanno avuto nessun effetto.

Paragonando la giunta a “un’impresa criminale”, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel Paese, Tom Andrews, ha esortato il mondo ad aumentare la pressione sui militari “prima che sia troppo tardi”. Lunedì gli Stati Uniti – la cui ambasciata a Yangon ha messo oggi una foto profilo completamente nera su Facebook – hanno imposto sanzioni contro sette individui e due società legate ai militari, e l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue ha segnalato l’intenzione di inasprire le sanzioni mirate applicate finora.

L’impressione è però che la giunta non pensi a una marcia indietro. Lo stato di emergenza proclamato un anno fa è stato prolungato di sei mesi, e l’intenzione annunciata è quella di organizzare elezioni nell’agosto 2023, chissà con quali regole favorevoli ai militari. Impossibile immaginare un futuro politico per Suu Kyi, già condannata a sei anni di reclusione, di nuovo a processo tra due settimane con l’accusa di brogli elettorali, e a rischio di essere condannata a un totale di cento anni di carcere se ritenuta colpevole della decina di accuse, spesso farsesche, contro di lei.

Nel frattempo il Paese è sull’orlo di una guerra civile e preda di una devastante crisi economica, con grandi investitori stranieri che scappano. La resistenza all’esercito si è organizzata con un governo ombra che oggi è stato nominato per il premio Nobel per la Pace, ma nelle campagne molti dissidenti giovani hanno impugnato le armi e si sono uniti alle tante milizie etniche.

In risposta, l’esercito cerca di stroncare la resistenza con ritorsioni contro interi villaggi, e numerosi massacri sono stati documentati dalle organizzazioni per i diritti umani, con almeno 1.500 morti dal golpe ma probabilmente molti di più. E pensare che fino a un anno fa, con tutte le imperfezioni della sua transizione da mezzo secolo di dittatura, la democrazia sembrava finalmente mettere radici.

(di Alessandro Ursic/ANSA).

Lascia un commento