Pechino meno 4: Giochi ancora sottovuoto, ma il mondo sogna

Un logo gigante delle olimpiadi invernali di Pechino. EPA/WU HONG

ROMA.  –    Sono passati soltanto sei mesi da Tokyo 2020 ed è di nuovo tempo di Olimpiadi. I Giochi invernali di Pechino 2022, al via tra quattro giorni, saranno la 24/a edizione “bianca” e la seconda “sottovuoto”: il Covid non molla la presa e dopo aver costretto l’edizione estiva a slittare di un anno chiude di nuovo in una bolla rigidissima  chiunque sia coinvolto nella manifestazione sportiva più antica e più affascinante del mondo.

Quasi un controsenso per un evento che è nei fatti una piazza di globalismo etnico, linguistico e culturale, prima ancora che sportivo.

Alle prese con l’ondata di contagi da Omicron che ha chiuso le porte al pubblico negli impianti, l’effetto sulle Olimpiadi cinesi sembra giá essere piú pesante di quanto fu con quelle giapponesi: i casi scoperti dalla fitta rete sanitaria di Pechino sono giá 248, ma quel che piú conta é che é alto il numero di atleti positivi, con le prime defezioni.

É di oggi la notizia che la russa Valeria Vasnetsonva, rivale di Dorothea Wierer nel biathlon, rinuncia dopo una doppia positività. Stessa sorte per il connazionale Nikita Tregubov, argento dello skeleton quattro anni fa. L’Austria rischia di perdere la sua campionessa di salto, Marita Kramer, contagiata e costretta a stravolgere i suoi piani di viaggio e di allenamento nella speranza di recuperare in tempo. L’Iran invece deve rinunciare al suo portabandiera, Seyed Sattar Seyd, sciatore di cross country.

Si stanno insomma concretizzando le paure di molti atleti, cui diede voce la Goggia prima del suo infortunio: le tante gare  internazionali a ridosso dei Giochi, col virus che circola, rischiano di riscrivere le gerarchie delle gare olimpiche molto piú che a Tokyo.

Le Olimpiadi sanno peró di essere piú grandi delle loro mancanze, e in questo sono pienamente supportate dal Paese ospitante. La Cina di Xi vuole mostrare al mondo il suo nuovo volto, più ricco e più sicuro, andando oltre le tensioni dello schacchiere geopolitico del momento: il presidente cinese ha invitato come ospite di riguardo Vladimir Putin, nonostante la Russia non abbia una sua “nazionale” ufficiale, mentre Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna applicano il “boicottaggio diplomático”.

Sullo sfondo, le polemiche per i rischi di cyberspionaggio che hanno indotto alcuni Paesi a consigliare ai loro atleti di lasciare a casa ogni dispositivo elettronico.

A Pechino, che diventerà la prima città del pianeta ad aver avuto l’onore di ospitare sia l’Olimpiade estiva, nel 2008, sia quella invernale, e che riutilizzerà impianti-capolavoro di architettura moderna come il Nido di Uccello e il Cubo d’Acqua, si daranno appuntamento 2.892 atleti di tutto il mondo (118 gli italiani), con nazioni all’esordio assoluto, come Arabia Saudita e Haiti. A tutti loro, che si sono allenati per quattro anni in vista di questo traguardo, è stato assicurato il diritto di competere nonostante il virus, e dal 4 al 20 febbraio il mondo avrà il piacere di ammirarli.

Così in tendenza con quanto accaduto a Tokyo, anche a Pechino si registrerà l’aumento della partecipazione femminile, nello specifico salita al 45,44% del totale rispetto al 41,90% di PyeongChang 2018. Su 109 gare in totale, 46 saranno quelle femminili e 12 quelle miste. 1.314 le atlete in lizza, 1.578 gli uomini. Fra tutti loro l’unico caso accertato di “no vax” è quello della campionessa di snowboard Patrizia Kummer, che si é sottoposta a 21 giorni di quarantena obbligatoria a cui si è sottoposta in Cina pur di esserci.

Il contingente più numeroso, come in ogni Olimpiade, sarà quello degli Stati Uniti, con 222 atleti fra i quali 108 donne, mentre globalmente è ancora minima la presenza di atleti di colore: nemmeno il 2%, cifra alla quale danno un notevole contributo gli equipaggi del bob di Giamaica (che questa volta avranno una rappresentante anche nel monoposto donne, novità assoluta) e Brasile

L’Italia che si interroga sulle condizioni di Sofia Goggia sull’onda di un 2020 sportivamente esaltante punterà a migliorare il medagliere del 2018, che fu di 3 ori, 2 argenti e 5 bronzi. I rappresentanti della selezione di casa avranno invece l’imperativo di far vedere che la Cina può diventare una potenza sportiva anche nei Giochi d’Inverno dove ha vinto dieci volte meno che in quelli d’estate: 62 medaglie dal 1980 (prima partecipazione) a oggi, contro le 634 di quelli estivi. Per questo presenterà un contingente di 171 rappresentanti che dovranno migliorare gli 11 podi (5 gli ori)  di Vancouver 2010, finora miglior prestazione di “Team China” versione inverno.

A parte questo, c’è anche l’allarme bufere di neve sulla Cina, che però non dovrebbero riguardare la capitale. Ma ci sono anche bufere non atmosferiche, frutto di un mondo sempre meno sensibile all’ideale, un tempo realtà, della tregua olimpica: dal boicottaggio diplomatico di Usa, Gran Bretagna, Australia e altri paesi occidentali, al duro monito del ministro degli Esteri cinese Wang Yi al segretario di Stato americano Antony Blinken (“fermate le interferenze con i Giochi olimpici di Pechino, smettete di giocare con il fuoco sulla questione di Taiwan e ponete fine alla formazione di piccole cricche per contenere la Cina”).

E ora è arrivato anche l’invito del ministro dello Sport ucraino Vadym Huttsait ai suoi atleti di non posare, mai, in foto con i colleghi della Russia, nemmeno in caso di contemporanea presenza sul podio.

Di sicuro il Cio non farà passare sotto silenzio la questione Peng Shuai, e ha già messo in calendario un incontro tra la tennista “scomparsa”, il presidente del Cio stesso, Thomas Bach, e quella della commissione atleti Emma Terho. Perché questi sono Giochi diversamente olimpici, per via del virus, ma sempre veri e simbolo del mondo che si vorrebbe.

(di Alessandro Castellani/ANSA).

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